Nigeria e Repubblica Democratica del Congo (DRC), due giganti. La Nigeria ha il doppio degli abitanti. La DRC il doppio del territorio.
Nel 2014, nel pieno dell’epidemia di Ebola in West Africa, quando il virus avrebbe continuato a falciare vite umane per altri due anni in Liberia, Sierra Leone e Guinea fino a superare gli 11.000 morti, la Nigeria aveva già dichiarato sconfitta l’epidemia: in tre mesi si erano registrati solo 19 casi di contagio e otto morti in un Paese di 200 milioni di persone.
Un coordinamento governativo solido, il centro operativo diretto dal ministero della Salute, la disponibilità di un adeguato numero di medici, infermieri ed epidemiologi, la presenza di laboratori virologici avanzati, la collaborazione con il Center for Disease Control and Prevention, Medici senza frontiere, la Croce Rossa nigeriana e molti altri partner, valide strutture logistiche, meccanismi di finanziamento fluidi, ma anche l’alto tasso di alfabetizzazione nella popolazione che ha semplificato le campagne di informazione, la mobilitazione sociale e comunitaria e l’attuazione di pratiche di sepoltura sicure e dignitose, sono stati gli ingredienti indispensabili per evitare che la Nigeria finisse in un baratro.
L’Ebola è causata da un virus che si diffonde per contagio diretto tra le persone. Il virus si annida in mammiferi, prevalentemente pipistrelli, ed è endemico in alcuni Paesi africani, tra cui la DRC.
Proprio in DRC nel 1976 (a quei tempi ancora Zaire) fu isolato per la prima volta il virus dell’Ebola. I sintomi iniziali sono simili all’influenza. Poi compaiono dolore addominale, nausea, vomito, diarrea acquosa e sanguinamento dalle gengive. La febbre rimane sempre alta mentre si associano confusione, convulsioni e allucinazioni fino al coma. In questo stadio ci sono sanguinamenti da tutte le mucose e gli orifizi. La morte sopraggiunge dopo poco.
L’epidemia in West Africa del 2014, a fronte di un numero enorme di morti, ha dimostrato però che non solo l’Ebola si può contenere, ma le persone possono guarire, se trattate con livelli di assistenza elevata. Da allora sono stati testati farmaci, test rapidi per individuare i pazienti infetti e, soprattutto, un vaccino altamente efficace.
28 sono le epidemie di Ebola verificate dal 1976 a oggi, tutte in Africa; la mortalità media è di quasi il 60% (cioè muoiono 6 persone ogni 10 che vengono infettate) con picchi fino al 90%.
Perché allora in DRC, luogo di nascita dell’Ebola, dove si sono verificate un terzo delle epidemie registrate dal 1976, Ebola non si ferma? Perché dall’inizio dell’epidemia scoppiata nell’agosto del 2018 ci sono stati più di 2.000 morti, di più che in tutte le precedenti epidemie messe insieme, fatto salvo per quella del West Africa del 2014?
La sfiducia e la resistenza delle comunità sono spesso indicate come il principale ostacolo nella lotta contro l’Ebola, ma in più in DRC c’è la guerra. I conflitti e le migrazioni sono fattori in grado di facilitare la trasmissione di malattie e inibire gli sforzi umanitari, soprattutto quando la violenza non risparmia gli operatori e i centri medici: almeno 10 sanitari sono stati uccisi durante gli attacchi agli “Ebola Centers”.
Un recentissimo articolo epidemiologico (PNAS, settembre 2019), utilizzando i dati sui conflitti, la valutazione etnografica e un modello matematico, ha ricostruito la relazione tra epidemia di Ebola e combattimenti in DRC ed è stato dimostrato come il conflitto contribuisca alla persistenza dell’epidemia.
Non basta, però. MSF ha recentemente denunciato la lentezza delle attività di vaccinazione, anche a causa della mancata trasparenza sulle forniture da parte della WHO.
Circa 225mila persone sono già state vaccinate, ma è un numero insufficiente. Solo una parte della popolazione eleggibile sta beneficiando del vaccino, mentre la WHO continua a imporre limitazioni sul numero di dosi utilizzabili sul campo. DRC, l’opposto del modello nigeriano.