Giulia Baldissera

Giulia Baldissera

Water and Sanitation Manager MSF

Lezioni di candeggina a San Vittore

Giulia Baldissera

Giulia Baldissera

Water and Sanitation Manager MSF
Lezioni di candeggina a San Vittore

Non credo ai miei occhi. Il rischio di una diffusione veloce del virus era alto, ma mi guardo intorno e non posso credere come tutto sia cambiato in poche settimane.

Torno a San Vittore, dove per due mesi MSF ha lavorato in supporto alla direzione sanitaria per ridurre la trasmissione del Covid19 tra la popolazione del carcere, ovvero detenuti, agenti di polizia, personale amministrativo…almeno 3000 persone in uno spazio ristretto dove è difficile mantenere le distanze.

Il totale delle persone che si trovano oggi a San Vittore raggiunge il numero degli abitanti del mio piccolo comune.

Sono entrata qui per la prima volta all’inizio di aprile, la Lombardia era l’epicentro della pandemia e nelle strade si vedevano solo polizia e operatori sanitari.

All’interno del carcere la tensione era ancora più palpabile, dopo le rivolte di marzo e i primi tamponi positivi tra agenti e detenuti, tutti avevano davvero paura. Nei corridoi del carcere si sentivano urla, agenti che si spostavano in fretta di qua e di là…oggi invece sembra regnare la calma.

Abbiamo aiutato a mettere in pratica un sistema di tracciamento dei contatti e di isolamento delle persone positive al tampone, ad organizzare il reparto per la cura dei malati di covid, la distribuzione dei pasti o la raccolta dei vestiti sporchi che vanno alla lavanderia, abbiamo rivisto un po’ alla volta tutte le aree di questa città nella città per evitare che il virus potesse trasmettersi.

Incontro un detenuto, Ciuciù, intento a pulire il pavimento e gli chiedo cosa stia facendo. Come se dovesse spiegarmi una cosa ovvia, mi mostra che dopo aver pulito ora passa il disinfettante per eliminare il virus.

Ad aprile abbiamo organizzato tante sessioni di formazione per convincere i detenuti a farlo, sono loro stessi che si occupano delle pulizie e dei servizi di cucina, lavanderia, manutenzione. L’igiene, così difficile in un luogo chiuso e sovraffollato, diventa cruciale in questo periodo.

Ora sembra tutto semplice e regolare, ma in primavera non si trovavano disinfettanti o DPI ancora disponibili sul mercato, tutti erano così spaventati e la paura metteva rabbia. Ciuciù non mi riconosce e mi spiega le cose con un po’ di sufficienza ma anche con orgoglio, tutti sanno che bisogna proteggersi dal virus e il suo ruolo è diventato importante ora per la salute di tutti.

Ripenso ad aprile, quando abbiamo cominciato a insistere sull’uso dei disinfettanti in un ambiente in cui tutti sembravano avere ben altro per la testa. Abbiamo insegnato a tutti i lavoranti che si occupano delle pulizie a fare anche la disinfezione degli oggetti dove si mettono spesso le mani, come serrature delle porte, il telefono comune ecc.

Un semplice passaggio con la giusta dose di candeggina almeno due volte al giorno ha sicuramente aiutato moltissimo nel prevenire la diffusione del coronavirus anche qui.

Nel corso di una formazione sull’uso della candeggina anche nelle celle, avevo fatto dei segni con il pennarello indelebile per mostrare fino a dove riempire i secchi con l’acqua e l’altezza da raggiungere con l’ipoclorito di sodio per diluirla nel modo corretto.

Una soluzione troppo leggera renderebbe inutile la disinfezione ma anche se fosse concentrata farebbe finire troppo in fretta la scorta di candeggina nel magazzino e si rischierebbe di restare alcuni giorni in attesa della consegna successiva, giorni in cui non si potrebbe più disinfettare nulla.

I lavoranti dovranno sostare davanti all’ingresso delle celle, a dovuta distanza, e fornire agli altri detenuti il materiale per disinfettarne l’interno, poi lo riprenderanno e lo passeranno alla cella successiva. Un po’ alla volta faremo tutto il piano, poi tutto il raggio.

Scortati da un agente, faccio tutto il percorso insieme a Ciuciù e Stefano, un altro lavorante. Sul pianerottolo tra il terzo e il quarto piano, dove siamo diretti, c’è una finestra aperta.

Stefano, davanti a me, rimane bloccato per qualche istante, ipnotizzato per una frazione di secondo. Siamo a inizio aprile, fuori c’è la primavera e si vedono i detenuti in cortile per l’ora d’aria, i tetti degli altri edifici di San Vittore e poi anche uno scorcio di Milano dall’alto fino ai muri di una grande chiesa…forse è la Basilica di Sant’Ambrogio vista dal retro, ma non sono sicura si possa vedere fin da qui.

L’agente dietro di me scalpita e Stefano ricomincia a salire l’ultimo pianerottolo verso il quarto piano. Di sfuggita si gira verso di me, come per giustificare la rapidissima sosta, e mi dice che non era mai salito più su del secondo piano fino a quel momento.

Tutta l’Italia ha vissuto la quarantena e spesso le persone dicevano di sentirsi “in carcere” chiuse in case… ma certo non tutte le quarantene sono state uguali.