Ostacoli amministrativi continuano a impedire a Sea-Watch 4 di tornare a salvare vite, mentre nel Mediterraneo centrale si continua a morire. Sea-Watch, proprietaria della nave, fa ricorso al Tribunale amministrativo regionale per contestare il blocco della nave, da oltre un mese ferma nel porto di Palermo.
Lavoriamo in partnership con Sea-Watch a bordo della Sea-Watch 4, fornendo cure mediche e assistenza umanitaria alle persone soccorse. Il team medico è in stand-by in attesa che la nave venga rilasciata con urgenza, mentre la situazione nel Mediterraneo centrale resta disastrosa.
Solo questa settimana sono morte circa 20 persone, tra cui due bambini e una donna incinta, mentre altre cinque risultano disperse a seguito dell’ennesimo incidente. Nell’ultimo mese e mezzo psicologi e mediatori interculturali dei nostri team sono tornati per ben quattro volte a svolgere interventi di primo soccorso psicologico ai sopravvissuti di naufragi nel Mediterraneo.
Dal 19 settembre la Sea-Watch 4 non può riprendere la propria attività salvavita. Almeno 80 persone, ma forse molte di più, hanno perso la vita nel Mediterraneo centrale da quando la nave è stata sottoposta a fermo amministrativo. Altre centinaia sono state respinte forzatamente in Libia, dove potranno subire torture e abusi. Marco Bertotto, Responsabile affari umanitari di MSF
Pur riconoscendo e rispettando l’importanza dei controlli di sicurezza portuale come componente essenziale del diritto marittimo, temiamo che questi accertamenti tecnici vengano utilizzati strumentalmente dalle autorità italiane per bloccare le navi umanitarie impegnate nel soccorso in mare.
Dopo un’ispezione di undici ore da parte della Guardia costiera italiana, la Sea-Watch 4 è stata sottoposta a fermo amministrativo sulla base di una lunga lista di irregolarità che vanno da alcune luci non funzionanti ad altre di impossibile attuazione.
Per esempio, una delle irregolarità contestate è che in seguito alle operazioni di soccorso e trasbordo la Sea-Watch 4 aveva a bordo 354 persone, un numero troppo alto rispetto alle dotazioni disponibili a bordo. Questa interpretazione ignora che le operazioni di salvataggio, un dovere dei comandanti di una nave che devono dare assistenza alle persone in difficoltà in mare, sono sancite dalla Convenzione Internazionale sulla Ricerca e il salvataggio in mare.
L’interpretazione è tanto più riprovevole se si considera che le stesse autorità maltesi avevano incaricato la nave di prendere a bordo altre persone dalla Louise Michel, costretta a chiedere aiuto mentre si trovava nella zona di ricerca e soccorso maltese.
Nello stesso momento le navi della Guardia costiera italiana erano sul posto e hanno evacuato 49 persone vulnerabili mentre la Sea-Watch 4 ha preso a bordo i restanti 152 sopravvissuti.
In un’ottica di collaborazione abbiamo lavorato duramente per sistemare tutto il possibile, anche se alcune delle irregolarità contestate sono davvero irrilevanti per giustificare il fermo amministrativo della nave. Il resto è francamente impossibile da soddisfare. Lo stato di bandiera della nave, la Germania, non fornisce il tipo di certificazione richiesto dalle autorità italiane, rendendo impossibile rettificare questa irregolarità. Per questo temiamo che procedure legittime e il diritto marittimo vengano strumentalizzati per fermare le attività di ricerca e soccorso. Barbara Deck Capo progetto di MSF a bordo della Sea-Watch 4
Se gli stati europei non vogliono fare il proprio lavoro, il minimo che possono fare è lasciare che le navi umanitarie facciano il loro
Il blocco della Sea-Watch 4 rientra in un meccanismo che impedisce alle ONG di svolgere attività salvavita secondo il diritto internazionale e nazionale.
All’epoca dei fatti è stata la quinta nave umanitaria bloccata dalle autorità italiane in meno di cinque mesi. Il 10 ottobre la Alan Kurdi è stata fermata in Sicilia, per la seconda volta in sei mesi. E il 22 ottobre anche Louise Michel, la nave di salvataggio finanziata da Banksy, ha annunciato di non poter riprendere il mare perché la sua registrazione è stata contestata.
I governi europei hanno di fatto annullato le attività di ricerca e soccorso lungo la rotta migratoria più letale al mondo. Vederlo accadere mentre dichiarano di impegnarsi per un approccio più umano alle migrazioni nel nuovo Patto sulla migrazione, è tragicamente paradossale.
Quanto accaduto di recente nel Mediterraneo centrale rivela le conseguenze mortali della decisione degli stati di ignorare ripetutamente il loro dovere morale e legale di salvare vite umane, scegliendo invece di imporre abusivamente misure burocratiche e amministrative sulle capacità di salvataggio.
A un mese dal blocco, oltre 80 morti in mare e centinaia di persone respinte in Libia
Dal fermo della Sea Watch 4, circa 80 persone sono morte in naufragi al largo delle coste libiche e italiane. Un’imbarcazione con 12 persone a bordo è rimasta per 12 giorni al largo del Mediterraneo centrale, con cinque persone che risultano disperse o morte. Nonostante ciò, le autorità hanno avviato un’operazione solo quattro giorni dopo aver ricevuto la notizia.
Allo stesso tempo, l’UE continua a finanziare e a formare la Guarda costiera libica nonostante riconosca che la Libia non è porto sicuro. L’8 ottobre, due imbarcazioni della Guardia Costiera libica sono rientrare in Libia dopo ingenti lavori di manutenzione finanziati dall’Italia e dall’UE. Queste imbarcazioni saranno utilizzate per bloccare le persone in mare e riportarle nel luogo da cui sono fuggite.
Dall’inizio dell’anno, almeno 506 persone sono morte nel Mediterraneo centrale e circa 9.000 sono state respinte con la forza in Libia.