Il Natale degli ultimi anni sarà ricordato da molti in maniera diversa: il Covid-19 ci ha obbligato a rivedere le nostre abitudini e tradizioni.
Personalmente ricorderò per sempre l’ultimo* perché l’ho trascorso in maniera insolita: in Repubblica Democratica del Congo, a Masisi, un villaggio nell’Est del paese.
Qui non ci sono alberi addobbati, luminarie, presepi, babbi natale che si arrampicano sui terrazzi. L’atmosfera del Natale a cui sono abituata non esiste nonostante il Paese sia a maggioranza cattolica. C’è molto meno sfarzo, niente regali, niente pranzi infiniti.
Nonostante sia Natale, però, non si fermano violenza, rapine e sparatorie. Il Nord Kivu è una delle zone più instabili della Repubblica Democratica del Congo: gruppi armati si fronteggiano senza sosta tra le montagne e la popolazione locale è la principale e più grande vittima di tutte queste violenze.
La mattina del 26 dicembre, insieme a due colleghi abbiamo deciso di fare un giro all’ospedale. Io sono la Finance Manager del progetto e gran parte del mio lavoro si svolge in ufficio, ma ogni volta che posso lascio la mia scrivania e corro all’ospedale. Fa sempre bene ricordarsi perché siamo qui, per chi siamo qui.
Infilo il mio gilet MSF al volo, scarpe da trekking per affrontare le strade di Masisi dopo una notte di piogge intense, e mi incammino verso l’HGR, l’Hopital General de Reference, un fiore all’occhiello per questa comunità.
I medici e gli infermieri fanno un lavoro eccellente, mettono tutta la loro professionalità e passione per curare i casi di malaria, diabete, feriti da trauma e da arma da fuoco, bambini malnutriti, neonati, donne vittime di violenza sessuale o con gravidanze a rischio. La qualità delle cure è talmente alta che le popolazioni del Nord Kivu affrontano anche giorni di viaggio a piedi per raggiungere l’HGR.
MSF supporta l’ospedale di Masisi dall’apertura del progetto nel 2007, garantendo cure gratuite a tutti, senza alcuna distinzione di etnia, religione, affiliazione. La quasi totalità dello staff sanitario è congolese, dipendente del Ministero della Salute. Tutti lavorano a ritmi serratissimi, senza tirarsi mai indietro.
Cominciamo il giro dei vari reparti: il pronto soccorso, il blocco operatorio, la medicina interna e la pediatria, strapiena come sempre. Bambini feriti, malnutriti, malati. I più fortunati godono di un letto singolo, gli altri lo dividono in due, anche in tre. Alcuni dormono stesi a terra su materassi di fortuna.
I bambini mi guardano sempre con molta curiosità: bianca, bionda, con i capelli lisci e fini, un naso troppo grande per essere vero. Li vedo con la coda dell’occhio che mi guardano, mi scrutano, e ridacchiano tra di loro, mi prendono in giro. Mi chiamano la muzungu (la bianca)! Allora mi volto, li fisso negli occhi per qualche istante e poi gli sorrido. E scoppiano anche loro a ridere, un sorriso vero e sincero. Funziona sempre con i bambini, si sciolgono in un attimo. Allungo la mano e mi lascio sfiorare, è questo il loro gioco preferito.
Jina lako nani?” (come ti chiami in swahili) – “Mimi naitua Giulia”, ho imparato a rispondere.
Il giro continua in chirurgia, neonatologia, maternità. E poi il village d’accueil, una zona dell’ospedale in cui le donne in dolce attesa con problematiche di vario genere attendono di mettere alla luce i loro bambini. Per queste donne, arrivare a Masisi ha significato giorni di viaggio con mezzi di fortuna e riprendere la strada di casa prima di partorire sarebbe troppo pericoloso nelle loro condizioni. Per questo le ospitiamo in questa zona dell’ospedale. Vivono tutte insieme, cucinano, cantano e ballano, agili nonostante i pancioni enormi.
Arriviamo all’ultimo reparto, malattie infettive, dove ci occupiamo principalmente dei casi di colera. Per ora ancora non ce ne sono, ma tutti sappiamo che è questione di settimane e probabilmente dovremo essere pronti ad accogliere i primi pazienti. Il colera è endemico in questa zona e ritorna ciclicamente ogni anno, come uno di quei parenti che non vorresti mai incontrare ma che alla fine, non si sa come né perché, ti ci ritrovi seduto vicino a tavola proprio il giorno di Natale!
Alla fine del giro, ci portiamo verso il retro dell’ospedale, ci sediamo a terra e ci godiamo per qualche minuto la vista dall’ospedale sulla vallata di Masisi, un villaggio incastrato nelle verdi montagne del Nord Kivu, a 1600 metri di altezza.
Il mio primo Natale lontano da casa, dalle persone più care, ma senza dubbio un Natale speciale che porterò sempre nel cuore.
* Giulia lavora come finance manager nell’ufficio di Roma ed è stata in missione a Masisi da gennaio 2020 a febbraio 2021