Sasha

Sasha

Operatore umanitario MSF

La vita a Mariupol, sotto le bombe

Sasha

Sasha

Operatore umanitario MSF
La vita a Mariupol, sotto le bombe

Sono nato a Mariupol e lì ho trascorso tutta la mia vita. È la città dove ho studiato, lavorato con Medici Senza Frontiere, e trascorso momenti felici. La vita era bella a Mariupol.

Non ci aspettavamo l’inferno, nessuno immaginava potesse scoppiare una guerra. Quando sono iniziati i bombardamenti abbiamo capito che il mondo che conoscevamo aveva smesso di esistere.

Nei primi giorni siamo riusciti a donare alcune forniture mediche di MSF ad alcune strutture ma dopo l’interruzione dell’elettricità e della linea telefonica era impossibile continuare a lavorare. I bombardamenti peggioravano di giorno in giorno e il nostro unico obiettivo era rimanere vivi e trovare un modo per scappare. Ben presto abbiamo perso il conto dei giorni della settimana.

Sopravvivenza

Sono nati nuovi cimiteri in quasi ogni quartiere della città, anche nel giardino dell’asilo vicino casa mia. È stato toccante vedere così tanta solidarietà: madri preoccupate per i loro figli e figli preoccupati per i loro genitori.

Io ero preoccupato per mia sorella, stressata dai continui bombardamenti. Il suo cuore è arrivato a battere 180 volte al minuto. Con il passare dei giorni è riuscita a non farsi prendere dal panico, al suono dei bombardamenti mi iniziava ad elencare tutti i posti dove ci saremmo potuti nascondere.

Ci siamo spostati tre volte in cerca di un posto sicuro. Siamo stati fortunati perché ci siamo ritrovati con un gruppo di persone splendide che ora considero come una famiglia. L’essere umano sopravvive unendo le forze e aiutandosi a vicenda.

Coraggio

Sono rimasto colpito dal coraggio delle persone. Mi ricordo una famiglia che stava cucinando per strada di fronte alla loro casa. A pochi metri di distanza dal fuoco che avevano acceso c’erano due enormi solchi nel terreno scavati da un’esplosione che aveva colpito un’altra famiglia pochi giorni prima. Mi sono commosso nel vedere come le persone si aggrappino alla vita ed a ciò che rimane di buono.

Nonostante tutto, l’8 marzo abbiamo celebrato la Giornata internazionale della Donna. Abbiamo chiamato i vicini, che hanno invitato i loro amici. C’è chi ha preparato una torta con la metà degli ingredienti indicati nella ricetta. Siamo riusciti perfino ad ascoltare la musica per qualche minuto. Per mezz’ora è sembrata una vera festa.

Fuga

Abbiamo cercato ogni giorno di fuggire, ma c’erano così tante voci contrastanti su quanto stava accadendo che abbiamo cominciato a pensare che non ci saremmo mai riusciti. Un giorno abbiamo saputo che un convoglio stava per partire, così ci siamo precipitati in macchina e abbiamo provato a raggiungere il luogo della partenza. Lo abbiamo detto a più persone possibile, ma mi riempie di tristezza pensare a quelle che non siamo riusciti a contattare perché la linea telefonica era interrotta.

La partenza è stata un vero caos, c’erano tantissime macchine che andavano in tutte le direzioni. Abbiamo visto un’auto con così tante persone dentro che era impossibile contarle, le loro facce erano schiacciate contro i finestrini. Solo quando abbiamo lasciato la città ho capito che le cose erano peggio di quanto avessi immaginato. Abbiamo visto crateri giganteschi tra i palazzi, supermercati distrutti, strutture mediche e scuole devastate, persino i rifugi dove la gente aveva cercato riparo sono stati colpiti.

Non abbiamo avuto altra scelta se non quella di lasciare tante persone care indietro. Soffro per la mia famiglia. Ho tentato di tornare in città per portarli fuori, ma non ci sono riuscito. Non ho più loro notizie.

Chi è in compagnia ha più possibilità di sopravvivere, ma ci sono tanti che sono da soli. Gli anziani e i fragili non possono camminare per chilometri per trovare acqua e cibo. Come faranno? Non riesco a smettere di pensare alla signora che abbiamo incontrato due settimane fa. Camminava a fatica, aveva gli occhiali rotti e non riusciva a vedere bene. Ha tirato fuori un piccolo telefono chiedendoci se potessimo ricaricarglielo.

Ho provato con la batteria della mia macchina, ma senza successo. Le ho spiegato che la linea telefonica era fuori uso e che non sarebbe riuscita a chiamare nessuno anche se avesse avuto la batteria carica. “So che non potrò chiamare nessuno” mi ha detto, “ma forse un giorno qualcuno mi vorrà chiamare”.  In quel momento ho realizzato che era sola e che tutte le sue speranze erano appese a quel telefono. Forse qualcuno sta cercando di chiamarla. Forse la mia famiglia sta cercando di chiamarmi.

Un mese dopo

È passato ormai un mese dall’inizio di questo incubo e la situazione continua a peggiorare. Ogni giorno le persone a Mariupol muoiono a causa dei bombardamenti e per la mancanza di beni primari, cibo, acqua, medicine. Ogni giorno, ad ogni ora e ogni minuto, civili innocenti vivono situazioni e difficoltà insormontabili. Solo pochi di loro sono riusciti a fuggire, mentre moltissimi sono ancora lì, nascosti in edifici distrutti o negli scantinati delle case in rovina senza alcun tipo di supporto.

Perché tutto questo continua ad accadere a persone innocenti? Fino a che punto l’umanità lascerà che questa tragedia continui?