Maurizio Debanne

Maurizio Debanne

Comunicazione MSF

Il treno “gentile” che attraversa l’Ucraina

Maurizio Debanne

Maurizio Debanne

Comunicazione MSF
Il treno “gentile” che attraversa l’Ucraina

Il silenzio di un viaggio in macchina al mattino presto in Ucraina viene spezzato dallo squillare di un telefonino. “Devo rispondere, posso accostarmi un attimo?” mi domanda Sasha, uno dei nostri autisti.

Faccio di sì così con la testa, come a dire non ci sono problemi, quando in realtà mi chiedo se non sia meglio mettere il vivavoce e continuare a guidare.

La macchina accosta davanti a una casa di campagna. Mentre osservo un paio di galline correre, sento la voce di Sasha: “Mama, mama, mama“. Dall’altra parte si sente solo qualche parola, impossibile da decifrare. La telefonata si interrompe dopo nemmeno trenta secondi. Con un’espressione persa, Sasha si scusa e mi spiega che doveva rispondere per avere notizie dalla madre, ancora bloccata a Mariupol. Non riesce ad aggiungere altro.

Allungo il mio braccio sulla sua spalla per esprimere tutta la mia solidarietà, sentendomi ancora una volta così piccolo e impotente di fronte al dramma che sta vivendo il popolo ucraino.

Il dramma di Mariupol ha segnato anche l’inizio della mia missione in Ucraina con MSF, partita dal progetto del treno allestito a clinica per trasferire i feriti dalla linea del fronte nell’est all’ovest del paese. Tra i primi pazienti c’era una donna di circa 40 anni ferita al volto da un’esplosione proprio a Mariupol.

Voglio essere di nuovo bella. Per mio marito. Per i miei figli”, racconta. Ha perso l’occhio destro. Oggi è ricoverata in un ospedale a Leopoli e, mentre il treno va avanti e indietro per tutta l’Ucraina, continua a restare in contatto con chi si è preso cura di lei nella carrozza numero 2. “Oggi ho un’altra operazione chirurgica” scrive su Whatsapp a Natalya, dottoressa ucraina che continua a seguirla come fosse ancora una sua paziente. “Appena posso andrò a trovarla in ospedale”.

Intanto logisti e ingegneri di MSF, insieme allo staff delle ferrovie ucraine, sono impegnati in un’altra corsa: allestire un treno più grande con una terapia intensiva al suo interno. Usare la rete ferroviaria è stato un modo creativo per adattarsi a questa guerra. Il bisogno è drammaticamente chiaro: gli ospedali nelle zone di guerra più calde sono sovraffollati, occorre quindi portar via pazienti in condizioni gravi per limitare il sovraccarico. Ma si tratta anche di dare tranquillità a questi pazienti e alle loro famiglie.

Dal treno “gentile e pieno di umanità” – come lo ha descritto una paziente – c’è chi scende in barella, chi con la sedia a rotelle, chi con le stampelle. Sui loro corpi le ferite provocate dalle esplosioni o dal crollo degli edifici. Dal finestrino hanno visto passare un paese intero e il dramma che oggi lo ha colpito. Ma i bambini non guardano fuori. Seppur molto piccoli conoscono bene la tragedia e sembrano volerla lasciare in disparte almeno per il tempo del viaggio, preoccupandosi piuttosto di rendere accogliente il loro posto letto nel vagone con giochi e peluches.

Il binario rappresenta un nuovo inizio, la stazione è un punto di arrivo ma soprattutto di partenza per un nuovo capitolo di vita. Si riparte con i pochi effetti personali presi alla svelta e trasportati in grosse buste di plastica. Con cura, come fossero bicchieri di cristallo, vengono messi negli autobus o nelle ambulanze.

È facile riconoscere chi il ricordo della brutalità della guerra ce l’ha ancora addosso: sono i feriti dell’attacco alla stazione di Kramatorsk. Tra loro una donna di 44 anni con due figli, entrambi feriti nell’esplosione e oggi in attesa di diverse operazioni chirurgiche. Mai, mai nella sua vita aveva lasciato Kramatorsk, ma quel giorno aveva deciso di mettersi in fuga per proteggere i suoi figli. La guerra però è stata più veloce.

Un bambino è salito, insieme alla sua famiglia, con fratture scomposte agli arti inferiori. “Voglio camminare di nuovo”, il suo desiderio espresso ai medici. I medici dell’ospedale ucraino dove era ricoverato ci hanno avvisato: “Solo per essere riuscito a sfuggire all’assedio di Mariupol questo bambino va trasferito. Deve sopravvivere”.

Nelle venti ore di viaggio le sue condizioni non sono peggiorate e dopo essere stato stabilizzato in un ospedale dell’ovest del paese è arrivata la buona notizia del trasferimento in Germania dove potrà essere sottoposto a un intervento di chirurgia ricostruttiva.

Nonostante l’atroce attacco alla stazione di Kramatorsk, i nostri operatori non hanno esitato un attimo e il treno ha ripreso la sua corsa verso i feriti dalla guerra ma anche verso chi dalla guerra non può né scappare e né proteggersi.

Così, oltre ai feriti di Mariupol, hanno trovato salvezza sui nostri vagoni 78 orfani, il più piccolo con soli due mesi di vita, e anziani, ricoverati in ospedale o ospiti in strutture per la terza età. Persone estremamente vulnerabili, alcuni con l’Alzheimer, che al suonare delle sirene o in caso di bombardamenti non hanno la possibilità di scendere in un rifugio, figuriamoci andare in un ospedale.

C’è anche chi purtroppo, al momento, non può affrontare un’evacuazione medica. È la storia di un bambino di tre anni con gravissime lesioni addominali causate da un’esplosione e attualmente ricoverato in terapia intensiva. La mamma non si è sentita di affrontare il trasferimento perché convinta che non sarebbe sopravvissuto al viaggio.

Quando una madre ti dice queste cose, non sbaglia mai” ha commentato Joanne Liu, pediatra ed ex presidente internazionale di MSF. Il trasferimento per lui è solo posticipato, appena sarà in grado di affrontare un viaggio lungo 20 ore andremo a prenderlo.