Il futuro delle pazienti e delle operatrici sanitarie in Afghanistan è minacciato dal recente decreto emanato dal governo del Paese che vieta alle donne di lavorare per Organizzazioni Non Governative.
In un contesto di forte dipendenza dal sostegno umanitario e non governativo, la partecipazione delle donne al lavoro umanitario e di assistenza medica è assolutamente fondamentale. Le donne costituiscono oltre il 51% del personale medico di MSF in Afghanistan.
Dopo la nostra condanna per questa decisione, alcune nostre lavoratrici hanno espresso i loro timori per il futuro e la loro frustrazione.
In ospedale abbiamo molti pazienti che sono donne. Quando si ammalano o devono far nascere un bambino, devono avere un posto dove andare. Se i talebani impediscono al personale femminile di lavorare, nessuno sarà in grado di prendersi cura di loro. La salute di una donna si ripercuote sulla salute di tutta la sua famiglia: senza accesso ai servizi prenatali e postnatali, anche la vita dei bambini è a rischio. Questo divieto non riguarderà solo le donne. Colpirà l’intero Paese”. Farzaneh Lavoratrice MSF in Afghanistan
Oltre a esacerbare i problemi esistenti di accesso all’assistenza umanitaria, il ban aggrava una situazione socioeconomica disastrosa in un paese paralizzato dalla disoccupazione e dalle sanzioni imposte dai governi stranieri.
“Ci sono sette persone nella mia famiglia di cui mi occupo. Se rimango disoccupata, nessuno sarà in grado di mantenere la famiglia. Molte donne in Afghanistan sono le capofamiglia perché gli uomini non possono lavorare, sono fuggiti dal Paese o sono morti. Ogni giorno penso molto a cosa farei se non mi fosse più permesso di lavorare”. Benesh Dipendente MSF in Afghanistan
Donne e bambini sono tra i gruppi più vulnerabili in Afghanistan e le preoccupazioni sollevate dal personale femminile di MSF fanno eco a quelle di altre donne afghane.
Il recente divieto ha già causato problemi psicologici a molte donne e alle loro famiglie. Temiamo che ogni giorno di lavoro possa essere l’ultimo. Raggiungere gli uffici sembra sempre più difficile. Già vedo che ai posti di blocco si cerca ogni scusa per impedire alle donne di muoversi liberamente. Ad esempio, mia sorella è stata malata di recente e quando si è recata nel nostro ospedale per un controllo, non le hanno permesso di andare perché non aveva un accompagnatore. Rimase lì per circa 50 minuti, fuori al freddo. Poi è arrivato mio fratello e hanno permesso loro di andarsene. È difficile sapere che siamo considerate come qualcosa di meno.
Vorrei dire una cosa a chi ci legge: per favore non dimenticate le donne in Afghanistan. Nessuna società può fare bene senza uomini e donne. Abbiamo tutti bisogno di essere coinvolti nelle nostre comunità per migliorare le cose”.