Migliaia di persone espulse dall’Algeria, di ritorno dalla Libia o che viaggiano verso nord per raggiungere l’Europa, si ritrovano in Niger, luogo di interscambio della migrazione in Africa occidentale. Hanno affrontato blocchi alle frontiere, espulsioni e abusi, conseguenza del sistema di gestione dei flussi migratori nella regione supportato dall’Unione Europea.
Offriamo loro assistenza medica a Niamey, punto di sosta all’incrocio di varie rotte.
Quando arrivano a Niamey, i migranti hanno difficoltà ad accedere a un’assistenza medica adeguata. Troppo spesso, ci sono delle condizioni cui devono sottostare per riceverla. Prima di ottenere qualsiasi tipo di aiuto infatti, devono rinunciare al loro piano di migrazione – anche quando è motivato da situazioni di violenza e pericolo – e iscriversi volontariamente al programma dell’OIM per ritornare nei loro paesi di origine. Abdoul-Aziz O.Mohamed Capo missione in Niger
Intorno ai sovraffollati centri di transito dell’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (OIM), stanno spuntando piccoli accampamenti di fortuna. I migranti ci trascorrono settimane in attesa che l’OIM li registri come migranti di ritorno volontario, il che gli consentirà di ottenere assistenza medica da parte dell’organizzazione o dai suoi partner.
In un momento in cui i paesi europei stanno facendo di tutto per ridurre il numero di richiedenti asilo, rifugiati e migranti che giungono alle loro frontiere, i programmi di rimpatrio volontario assistito stanno aumentando esponenzialmente: più di 10.000 persone hanno lasciato il Niger nella prima metà del 2018. Anche quando ciò significa ignorare richieste di protezione internazionale a causa degli abusi subiti durante il viaggio il quale, per colpa della chiusura delle frontiere e la criminalizzazione dei migranti, sta diventando sempre più lungo e pericoloso.
Ogni giorno, l’équipe della clinica mobile di MSF perlustra Wadata, un quartiere di Niamey conosciuto per i molti terminal di autobus e ostelli frequentati dai migranti. A chiunque sia per strada viene offerto un trattamento medico, a prescindere dallo status legale o dal luogo in cui pianificano di andare.
Nella clinica mobile sono condotte delle consultazioni. I pazienti che necessitano di maggiori cure vengono trasferiti nel nostro centro, che ha una stanza di osservazione con diversi letti. Lavoriamo anche con le strutture del Ministero della Salute, dove trasferiamo i casi più urgenti e complessi. Haig Nigolian Medico
Tra maggio e novembre 2018, il nostro staff ha condotto circa 4.500 consultazioni. La maggior parte dei pazienti proviene dall’Africa occidentale e attraversa il continente per migrare. Quello che le équipe diagnosticano più di frequente sono patologie causate dalle condizioni del viaggio, come dolore diffuso, disturbi gastrici e infezioni respiratorie. Alcuni pazienti che portano i segni delle torture subite ci raccontano degli abusi di cui sono stati vittime.
I problemi di salute degenerano se non curati abbastanza velocemente, e portano a complicazioni serie che possono mettere seriamente a rischio la vita delle persone. È ciò che è successo a Marc: dopo un anno trascorso in condizioni infernali in Libia, dove racconta di esser stato rinchiuso in prigione tante volte, il ragazzo di 26 anni è riuscito ad arrivare ad Agadez. Estremamente malato, ha poi deciso di prendere un autobus per il Senegal. Mentre cambiava autobus a Niamey, la compagnia si è rifiutata di farlo salire a causa del suo stato di salute, e ha contattato l’equipe mobile di MSF. “La diagnosi era molto grave”, ricorda Nigolian, “Epatite B in stadio avanzato con cirrosi al fegato e cancro.”
Secondo l’OIM, più di 60.500 persone sono entrate in Niger nei primi mesi del 2018. Alcune, sono arrivate attraversando la frontiera vicino al villaggio di Assamaka. Abbandonate nel deserto dalle autorità algerine, sono state costrette ad attraversare il fiume che dista molte miglia. “Assamaka ritorna spesso nel racconto delle persone. La descrivono come un’esperienza straziante e traumatica. Essere abbandonati nel deserto senza cibo o acqua e vedere persone morire per strada lascia segni indelebili,” conclude Nigolain.