Crisi in Sudan: cosa succede

Crisi in Sudan: cosa succede

La crisi in Sudan si fa sempre più critica dopo che il 15 dicembre, le Forze di Supporto Rapido (RSF) hanno lanciato un attacco a Wad Madani, e hanno preso il controllo nel giro di pochi giorni di diverse altre città e aree nello stato di Al Jazirah.

Più di mezzo milione di persone sono fuggite dai combattimenti e dall’insicurezza che ne è derivata, tra cui circa 234.000 sfollati interni che avevano cercato rifugio a Wad Madani in seguito all’intensificarsi delle violenze a Khartoum.

MSF ha sospeso l’attività a Wad Madani in Sudan

Il caos che si è creato in seguito all’evoluzione delle dinamiche del conflitto in Sudan, la grave insicurezza e la violenza diffusa hanno creato un ambiente in cui non potevamo più operare a Wad Madani.

Abbiamo dovuto sospendere tutte le attività ed evacuare il personale dal 19 dicembre, lasciando dietro una popolazione con un accesso ancora più limitato ai servizi medici di base. Abbiamo dovuto evacuare il personale anche da Damazine, Um Rakuba nello stato di Gedaref e Doka. A Damazine abbiamo ridotto le attività.

L’attività di MSF in Sudan

MSF lavora in Sudan dal 1979. Attualmente in 9 stati del Sudan, tra cui la città e lo stato di Khartoum e gli stati del Nilo Bianco, del Nilo Blu, del Nilo Fluviale, di Al Gedaref, del Darfur occidentale, del Darfur settentrionale, del Darfur centrale e del Darfur meridionale.

I nostri team in Sudan stanno curando i feriti dei combattimenti, compresi i feriti da esplosione e da arma da fuoco, oltre a curare le malattie trasmissibili e non trasmissibili, a fornire assistenza materna e pediatrica, a gestire le cliniche mobili nei luoghi di raccolta degli sfollati interni e gli ospedali nei campi profughi, a fornire supporto idrico e igienico-sanitario e a sostenere le strutture sanitarie attraverso le donazioni.

A Wad Madani, eravamo presente da maggio 2023. Le condizioni erano già terribili per il mezzo milione di sfollati interni che ci vivevano, l’8% di tutti gli sfollati interni del Sudan, già la più grande crisi di sfollamento interno del mondo, con oltre 6 milioni di persone costrette ad abbandonare le proprie case all’interno del paese oltre a più di 1,4 milioni di persone fuggite oltre confine.

Tra maggio e novembre, i nostri team di MSF hanno effettuato 18.390 visite mediche (il 40% delle quali a bambini di età inferiore ai 15 anni) in molte delle centinaia di luoghi che ospitano gli sfollati in tutto lo stato, alcuni in scuole o vecchi edifici pubblici.

Attraverso le sue cliniche mobili, MSF ha diagnosticato e indirizzato 66 bambini affetti da malnutrizione acuta grave con gravi complicazioni negli ultimi sei mesi, casi che potrebbero essere fatali se non trattati con urgenza in ospedale. Ma le strutture sanitarie erano sovraccariche. Poiché la popolazione della città è aumentata del 30%, c’erano sempre più pazienti, ma anche notevoli problemi di approvvigionamento e di personale. Inoltre, con l’impennata dei prezzi di tutti i beni, l’accesso ai servizi salvavita era un ostacolo sia per gli sfollati che per i residenti abituali. Oggi, con la partenza della maggior parte delle organizzazioni internazionali – e nonostante gli sforzi degli operatori sanitari volontari locali – possiamo solo supporre che la situazione sia peggiorata”.Slaymen Ammar Coordinatore medico di MSF per il Sudan

Nell’ultimo mese, i nostri team negli stati di Gedaref e Kassala – dove siamo operativi dal 2021 in risposta alla crisi del Tigray etiope – hanno assistito all’arrivo di migliaia di persone da Wad Madani e stanno attualmente valutando e rispondendo alle crescenti esigenze sanitarie e umanitarie.

A Tanideba (Gedaref), abbiamo avviato un intervento di emergenza a breve termine per i rifugiati etiopi e per i cittadini sudanesi appena sfollati, che comprende assistenza sanitaria di base, acqua e servizi igienici e razioni alimentari. L’intervento comprendeva distribuzioni e donazioni una tantum ma le attività a Tanideba sono state temporaneamente ridotte per un breve periodo a causa dell’escalation del conflitto a Wad Madani.

Sfollati in fuga dalle violenze

Il conflitto in Sudan ha causato sofferenze incommensurabili, milioni di sfollati, migliaia di morti e innumerevoli feriti. Per molti sfollati, Gedaref e Kassala sono solo le ultime tappe di un lungo viaggio alla ricerca di sicurezza, durante il quale hanno subito violenze e sopportato la mancanza di bisogni essenziali come cibo, acqua pulita, servizi igienici e accesso alle cure mediche.

Siamo originari del Darfur, ma a causa dei violenti scontri e della crisi che c’era in quel paese, siamo andati a Khartoum. Ma la guerra ci ha seguito fino a Khartoum, così siamo andati a Wad Madani. E poi la storia continua. Eravamo sei persone in casa e all’epoca ero incinta di nove mesi. La nostra casa è stata distrutta. Io sono stata colpita al braccio, ma mio figlio ha riportato una ferita molto più grave alla testa. Siamo riusciti a portarlo in ospedale, perché aveva bisogno di un intervento chirurgico urgente e salvavita. Ma non appena è stato dimesso, abbiamo dovuto abbandonare la città a causa dell’insicurezza. Siamo arrivati nel campo sfollati di Wad Madani e lì ho partorito”. Maha Donna sfollata

La risposta umanitaria insufficiente rispetto ai bisogni

In una regione come quella del Sudan in cui l’assistenza sanitaria e i medicinali essenziali erano già estremamente limitati, le popolazioni sfollate soffrono ora di una crescente domanda di salute, dovuta agli effetti diretti e indiretti della violenza. Le esigenze di base si stanno ulteriormente aggravando e necessitano di una risposta urgente.

Nei luoghi di raccolta della città di Kassala, gli sfollati hanno raccontato alle nostre équipe di non aver ricevuto alcuna assistenza dal loro arrivo a metà o fine dicembre. Le famiglie dormono per terra, l’accesso all’assistenza sanitaria è ancora fortemente limitato, ci sono poche strutture mediche funzionanti e i medicinali non vengono forniti gratuitamente. Molte persone ci hanno detto di non potersi permettere beni come il cibo e le medicine, costringendole a scegliere tra questi beni di prima necessità”. Pauline Lenglart Coordinatrice dei progetti di emergenza di MSF in Sudan