Navi ONG: le risposte alle 11 domande più frequenti

Navi ONG: le risposte alle 11 domande più frequenti

Navi ONG nel Mediterraneo: ecco le risposte alle domande più frequenti che ci vengono poste in merito alle nostre operazioni di ricerca e soccorso nel Mediterraneo Centrale.

Dal 2015 i nostri team a bordo di diverse navi di ricerca e soccorso salvano vite in mare e testimoniano con orrore la tragedia che si svolge alle porte dell’Europa mentre migliaia di persone rischiano di annegare nel Mediterraneo centrale o vengono respinte in Libia.

Dal 2021 siamo in mare con la nostra nave, la Geo Barents, per soccorrere persone in pericolo e fornire loro assistenza medica d’emergenza.

Ci sono ancora tanti dubbi e ci vengono poste molte domande sulle nostre attività nel Mediterraneo e, più in generale, sulle motivazioni che continuano a spingere uomini, donne, minori a intraprendere viaggi nella rotta migratoria più letale al mondo.

Rispondiamo a quelle più frequenti.

Perché migliaia di persone continuano ad affrontare viaggi così pericolosi anziché muoversi in maniera più sicura, ad esempio in aereo?

Scegliere e acquistare un biglietto aereo può sembrare una scelta semplice e facilmente percorribile. Non è così per le persone che soccorriamo, che arrivano quasi sempre da contesti di conflitto, estrema povertà e violenza.
Per poter salire su un aereo occorre essere in possesso di un passaporto regolarmente rilasciato e aver ottenuto un visto, cosa che per molti migranti è difficile se non impossibile. Per queste persone, il diritto alla mobilità è uno dei tanti diritti che viene negato.

Nessuno affronterebbe consapevolmente un viaggio così pericoloso se non fosse l’unica via percorribile per cercare sicurezza e futuro. Per questo non ci stancheremo mai di chiedere vie legali e sicure per chi è costretto a fuggire dal proprio paese.

Delle persone che arrivano sulle coste italiane, quante vengono soccorse dalle navi delle ONG?

Negli ultimi dodici mesi, dei 95.000 arrivi in Italia, solo il 14% è riconducibile alle attività di ricerca e soccorso delle navi delle ONG presenti nel Mediterraneo. Il resto degli arrivi è avvenuto in maniera autonoma, come nel caso di barchini sbarcati sulle coste di Lampedusa o della Calabria, oppure grazie ai soccorsi effettuati dalla Guardia Costiera Italiana o da mercantili privati. (Fonte: Matteo Villa/ISPI)

Significa che quasi 9 migranti su 10 raggiungono le coste italiane senza l’aiuto delle imbarcazioni delle ONG e che, quindi, anche senza ONG in mare queste persone sarebbero arrivate lo stesso in Italia.

Perché non li riportate in Libia o in Tunisia?

Non siamo noi a decidere i porti di sbarco, ma le autorità marittime competenti come previsto dal diritto internazionale e marittimo. Il diritto internazionale prevede espressamente che le persone soccorse in mare debbano essere portate in un luogo sicuro, che l’Agenzia dell’ONU per i rifugiati (UNHCR) e la Commissione Europea hanno stabilito essere il porto sicuro più vicino.

Come organizzazione medica abbiamo come priorità il benessere delle persone soccorse, per questo cercheremo di sbarcarle tempestivamente nel porto sicuro più vicino.

La Libia non è un porto sicuro, come hanno affermato anche l’UNHCR, l’Alto commissariato delle nazioni Unite per i diritti umani (OHCHR) e il Segretario Generale dell’ONU. Noi siamo presenti in alcuni centri di detenzione libici dove forniamo cure mediche, e lo sappiamo molto bene perché vediamo con i nostri occhi le condizioni disumane in cui sono trattenute le persone, esposte a drammatico ciclo di abusi, estorsioni e violenze. La Tunisia è un paese meno pericoloso della Libia, ma resta al di sotto dei livelli minimi di sicurezza.

Secondo le linee guida dell’UNHCR, un porto, per considerarsi sicuro, deve essere un luogo in cui:

  • la sicurezza dei sopravvissuti non è a rischio,
  • i bisogni umani essenziali dei sopravvissuti possano essere soddisfatti,
  • il trasferimento dei sopravvissuti verso una nuova destinazione, temporanea o definitiva possa essere organizzato,
  • i diritti fondamentali, tra i quali quello a non essere respinti (non respingimento), sono tutelati.

Perché tutti in Italia, perché non li portate in un altro stato europeo o nello stato di bandiera della vostra nave (Norvegia)?

Non siamo noi a decidere dove portare le persone soccorse. Sono le autorità degli stati che coordinano i soccorsi a indicarci il porto in cui sbarcare, che per legge deve essere il luogo sicuro più vicino ovvero, per i soccorsi nel Mediterraneo centrale, l’Italia o Malta.

Una volta sbarcate in un luogo sicuro, possono iniziare le procedure per la richiesta di asilo e il ricollocamento in altri paesi.

Se gli stati europei di confine, come Italia, Grecia e Spagna, continuano a gestire la maggioranza degli arrivi di migranti e richiedenti asilo è perché il sistema di asilo europeo è inefficiente. È compito dei governi europei trovare un accordo su un sistema di ricollocamento dei richiedenti asilo più equo e funzionale.

Oggi, sono molte di più le persone che vengono riportate nell’inferno dei centri di detenzione in Libia che quelle che arrivano in Italia. Ricordiamo tra l’altro che i paesi al mondo che ospitano più rifugiati per quantità e per percentuale della popolazione, non sono né l’Italia, né altri paesi europei, ma paesi come Turchia, Pakistan, Uganda e Libano.

Li portate in Italia, ma poi chi pensa all’accoglienza e all’integrazione?

Di fronte a una persona che rischia di annegare, la prima cosa da fare è salvarla e metterla fuori pericolo. Il momento dell’accoglienza e dell’integrazione sono momenti successivi, di cui tutti i governi europei devono assumersi la responsabilità. Abbiamo progetti in Italia da oltre 20 anni, abbiamo fornito assistenza agli sbarchi e tra i lavoratori stagionali, abbiamo offerto cure mediche e psicologiche in strutture sanitarie dedicate, in centri di accoglienza straordinaria o in insediamenti informali. Oggi abbiamo all’attivo progetti a Roma, a Palermo e in Calabria.

L’attività di ricerca e soccorso, ne siamo ben consapevoli, non è una soluzione a lungo termine: è di fatto una misura d’emergenza messa in atto a causa di un sistema d’asilo europeo non funzionante, per evitare che le persone muoiano in mare. L’Unione Europea e tutti i suoi stati membri devono impegnarsi per ripristinare un sistema di ricerca e soccorso ufficiale e dedicato, e per costruire un coordinamento europeo per l’accoglienza che alleggerisca il carico degli stati costieri più esposti, come Italia, Grecia e Spagna.

La vostra presenza in mare non incentiva le partenze, aiutando i trafficanti?

Diversi studi hanno ampiamente dimostrato che la presenza delle navi di soccorso non incentiva le partenze e non facilita il lavoro dei trafficanti, tanto che gli sbarchi continuano anche quando non ci sono navi umanitarie operative.

Come organizzazione medico-umanitaria, il nostro unico obiettivo e interesse è salvare persone vulnerabili che rischiano la loro vita in mare.

Tutti i salvataggi nel Mediterraneo sono realizzati nel rispetto del diritto internazionale e marittimo e in coordinamento con le autorità marittime di riferimento, che dopo il salvataggio ci indicano dove sbarcare le persone soccorse. Una volta in porto, gli uomini, le donne e i bambini soccorsi da MSF vengono affidati alle autorità nazionali, che li prendono in carico nei porti di sbarco e avviano le procedure di accoglienza e ricollocamento.

A fare gli interessi dei trafficanti sono le politiche degli stati europei che impediscono l’esistenza di vie legali e sicure per raggiungere l’Europa, costringendo rifugiati e migranti a rischiare la propria vita nelle mani dei trafficanti. Solo aprendo canali legali e sicuri per chi fugge è possibile colpire in modo definitivo le reti di trafficanti e porre fine alle ingiustificate morti in mare.

Le navi di MSF effettuano soccorsi nelle acque vicino alle coste libiche?

Tutti i soccorsi avvengono in acque internazionali nel Mediterraneo centrale tra la Libia, Malta e l’Italia, dove si verificano la maggior parte dei naufragi.

Perché non li aiutate a casa loro?

Li aiutiamo ovunque nel mondo. Abbiamo progetti in più di 70 paesi, in contesti di guerra, violenze, povertà estrema, epidemie, catastrofi naturali.

Lungo le rotte della migrazione, di cui quella che porta al Mediterraneo è solo una, assistiamo chi è costretto a lasciare tutto nei paesi da cui parte e nei paesi che attraversa durante il disperato viaggio. Dalla Siria all’Afghanistan, dal Bangladesh alla Nigeria, da Haiti al Venezuela, non facciamo distinzione: per noi una persona che rischia la vita è una persona da salvare. Qui c’è il rapporto su tutte nostre attività nel mondo.

Non dovreste fare i medici, invece di fare politica?

Siamo nati con il doppio mandato di curare e testimoniare e davanti a sofferenze e morti evitabili non possiamo stare in silenzio, soprattutto se sono causate consapevolmente dalle politiche dei governi. Allo stesso modo, non stiamo in silenzio quando le grandi aziende farmaceutiche gonfiano i prezzi dei farmaci salvavita per fare profitto o quando le parole possono contribuire a migliorare le condizioni delle popolazioni che assistiamo. Siamo in mare anche per testimoniare ciò che tanti oggi vorrebbero nascondere.

Proprio in quanto medici non possiamo che denunciare le politiche disumane dei governi europei, che creano sofferenza invece di trovare soluzioni.

Chi vi finanzia, di chi fate gli interessi?

Siamo un’organizzazione indipendente, il 100% dei fondi che raccogliamo in Italia proviene da donazioni private. Di questi, circa il 95%, arriva da privati cittadini, il resto da aziende e fondazioni selezionate. I nostri interessi sono gli interessi dei nostri pazienti, milioni di persone in oltre 70 paesi del mondo a cui portiamo nostre cure, e delle nostre centinaia di migliaia di donatori, che grazie al loro supporto ci permettono di fare tutto questo.

L’indipendenza economica è la nostra grande forza, perché ci rende indipendenti anche sul fronte dell’azione e ci permette di intervenire dove ce n’è più bisogno, slegati da qualunque altro obiettivo.

Non ci sono “oscuri finanziamenti” dietro ai nostri conti. Il nostro bilancio, trasparente e certificato, è consultabile da tutti sul nostro sito.

Cosa chiedete ai governi europei?

Di avviare urgentemente un sistema di ricerca e soccorso ufficiale nel Mar Mediterraneo, coordinato a livello europeo, che comprenda autorità di coordinamento competenti e reattive in grado di assegnare un porto sicuro per lo sbarco.

Di garantire che le persone soccorse in mare abbiano il diritto di richiedere asilo quando sbarcano in un porto sicuro, di avere la loro richiesta esaminata individualmente, di essere trattate con umanità e fornite di servizi tempestivi e dignitosi, inclusi cibo, acqua, riparo e assistenza sanitaria. Di porre fine alle azioni punitive nei confronti delle ONG che cercano di fornire assistenza salvavita.

Di avviare un meccanismo di accoglienza condiviso a livello europeo. L’attività di ricerca e soccorso infatti non sono una soluzione a lungo termine, ma una misura d’emergenza messa in atto in sostituzione di un sistema di asilo non funzionante. I governi europei devono fare uno sforzo congiunto per costruire un sistema comune più umano, che garantisca il diritto alla vita e un’accoglienza dignitosa a uomini, donne e bambini che non hanno alternative.