Giornata Mondiale del Rifugiato 2023: in occasione di questa ricorrenza noi di Medici Senza Frontiere facciamo il punto sull’approccio dell’Unione Europea alla crisi migratoria in corso. Un approfondimento su come la politica migratoria mortale dell’UE sta colpendo migranti e rifugiati in tutta Europa.
Un numero di persone mai registrato prima è attualmente sfollato a causa di conflitti, violazioni dei diritti umani, cambiamenti climatici e delle conseguenze economiche derivanti dalla pandemia COVID-19.
Continuiamo a vedere persone in fuga lasciate annegare in mare, intercettate e respinte alle frontiere, a cui viene negata l’assistenza umanitaria e che vengono criminalizzate per aver cercato sicurezza.
Invece di assumersi le proprie responsabilità, gli Stati membri dell’Unione Europea continuano ad approvare politiche di deterrenza che costano vite umane. Nella sua risposta di aiuto e supporto alle persone in fuga dalla guerra in Ucraina, l’UE ha dimostrato di essere in grado di creare e attuare una politica migratoria umana: l’unica cosa che manca è la volontà politica.
Dai Piani d’azione per il Mediterraneo centrale e i Balcani occidentali al Patto per la migrazione, passando per il finanziamento e l’esternalizzazione di pratiche di frontiera dannose ad altri Paesi, come la Libia, l’UE sta erodendo attivamente il sistema di asilo senza riuscire a fornire una protezione significativa alle persone in cerca di sicurezza. I Paesi dell’UE, Italia compresa, stanno facendo sforzi straordinari per rafforzare i controlli alle frontiere e impedire le partenze, criminalizzando allo stesso tempo le operazioni di ricerca e soccorso.
Chiediamo ai leader dell’Unione Europea di mettere al primo posto la protezione delle vite umane e di fornire un trattamento dignitoso e umano alle persone che cercano sicurezza in Europa. I bisogni medici delle persone e i loro diritti a un processo di asilo equo devono essere rispettati e devono avere la priorità”. Julien Buha Collette Responsabile MSF in Europa
Ogni giorno, i nostri team forniscono assistenza medica e psicologica a persone, compresi bambini, che cercavano sicurezza in Europa e che invece hanno trovato violenza, condizioni di vita inadeguate e accesso insufficiente ai beni di prima necessità, come cibo, acqua e servizi igienici.
Morire in mare
La situazione umanitaria nel Mediterraneo centrale resta catastrofica e le persone continuano a morire mentre affrontano la traversata. Ce lo hanno drammaticamente dimostrato i recenti naufragi avvenuti alle porte dell’Italia (la strage di Cutro è costata la vita a 93 persone) e della Grecia (dove il naufragio di un peschereccio sovraffollato ha causato oltre 80 morti e centinaia di dispersi).
Da anni chiediamo un rafforzamento del meccanismo di ricerca e soccorso (SAR) in mare che sia coordinato e gestito a livello europeo. La nostra presenza nel Mediterraneo centrale e sulle coste dove avvengono gli sbarchi, dove spesso offriamo prima assistenza psicologica a chi sopravvive ai naufragi, è il risultato diretto del graduale e vergognoso disimpegno degli Stati europei che da un lato ignorano le proprie responsabilità verso chi cerca un futuro migliore e, dall’altro, criminalizzano e ostacolano il lavoro delle flotte civili e delle ONG di ricerca e soccorso.
Le politiche di deterrenza dell’UE non impediranno le tragedie del mare, né impediranno alle persone di cercare sicurezza, ma le esporranno a viaggi sempre più pericolosi.
Violenza lungo la rotta balcanica
Mi hanno tolto le scarpe e la giacca, mi hanno messo una corda di plastica ai polsi, mi hanno spinto la faccia a terra e mi hanno picchiato con dei bastoni sulla gamba. Mi hanno preso le scarpe, la giacca, il telefono e i soldi. Non hanno detto nulla, ma hanno continuato a picchiarmi e a ridere”. .
I team di MSF che lavorano lungo la rotta migratoria dei Balcani occidentali – che va dall’Albania alla Serbia – e lungo i confini della Bielorussia con la Lettonia, la Lituania e la Polonia, curano spesso un numero crescente di persone con ferite riportate nel tentativo di attraversare i muri e le recinzioni di confine dell’UE. Al confine tra Polonia e Bielorussia e tra Serbia e Ungheria, i nostri medici curano fratture, tagli e ferite causate da recinzioni di filo spinato alte cinque metri.
I pazienti riferiscono costantemente di essere stati aggrediti fisicamente e di aver subito il furto dei propri effetti personali da parte delle guardie di frontiera e della polizia, nonché di essere stati attaccati da cani sotto la loro direzione prima di essere respinti nel paese da cui stavano fuggendo. In Grecia, Italia e Francia, abbiamo ascoltato le storie di persone che hanno subito respingimenti in mare e a terra.
Disattendere il diritto internazionale
Invece di indagare e fermare questa violenza, i leader dell’UE manipolano le narrazioni pubbliche per criminalizzare i migranti e giustificare azioni che trascurano i loro obblighi nei confronti delle persone in cerca di sicurezza.
Invece di investire nell’aumento delle strutture e nel miglioramento dell’accoglienza con condizioni di vita dignitose, gli Stati membri si concentrano sulla restrizione del numero di persone che possono entrare ed esternalizzano le loro responsabilità internazionali ad altri paesi, spesso meno sicuri, come la Libia.
Oggi, le persone che sopravvivono alla mortale traversata del Mediterraneo o alle montagne e alle foreste d’Europa, lo fanno solo per essere sottoposte a un trattamento indegno quando raggiungono il suolo dell’UE. In tutta Europa, abbiamo assistito alla normalizzazione della violenza alle frontiere. Oltre alle morti in mare e ai violenti respingimenti, abbiamo sentito notizie di bambini rinchiusi in container ed esposti a lacrimogeni in Ungheria prima di essere respinti in Serbia. È disumano”. Julien Buha Collette Responsabile MSF in Europa
I Centri ad accesso controllato (CCAC) finanziati dall’UE in Grecia sono stati presentati come un miglioramento per le condizioni di vita dei migranti che arrivano sulle isole. Nella realtà, limitano fortemente i movimenti delle persone e le tengono rinchiuse in strutture simili a prigioni. A Samos, il CCAC è circondato da recinzioni di filo spinato, è sorvegliato 24 ore su 24, 7 giorni su 7, le persone devono entrare attraverso una macchina a raggi X e vengono identificate attraverso dati biometrici (come le impronte digitali).
Invece di imparare dagli errori del passato, l’UE continua a utilizzare il modello “hotspot”, che si concentra sulla detenzione piuttosto che sull’assistenza e la protezione.
Nel frattempo, in Francia, Belgio e Paesi Bassi, continuiamo a fornire assistenza ai richiedenti asilo, compresi i minori non accompagnati, che dormono per strada perché non hanno accesso a un rifugio sicuro.
Esternalizzazione della violenza
Nel 2022, circa 23.600 persone sono state intercettate dalla guardia costiera libica finanziata dall’UE e rimpatriate con la forza in Libia.
Quest’anno, sono già più di 4.200 le persone riportate forzatamente in Libia e oltre 1000 hanno perso la vita o sono disperse dopo aver rischiato la traversata del Mediterraneo Centrale: è il quadrimestre più letale dal 2017.
Dopo essere entrati in Libia, siamo stati portati in una prigione. Ho passato otto mesi lì. Ci picchiavano duramente finché non li pagavamo. Se non avevamo soldi, chiamavano le nostre famiglie e chiedevano loro del denaro per rilasciarci. Facevano ascoltare le nostre famiglie al telefono mentre ci picchiavano. A volte hanno anche girato dei video in cui ci maltrattavano e li hanno inviati alle nostre famiglie. Non avevo né soldi né famiglia; ho passato otto mesi rinchiuso e picchiato. Ho perso la vista da un occhio dopo che mi hanno picchiato con un bastone di metallo. Non mi hanno nemmeno portato in ospedale quando è successo”. .