Da 50 anni le nostre équipe e i fotografi Magnum si incontrano sulla linea del fronte, nelle calamità naturali e nelle emergenze umanitarie, raccontandole con la parola e la fotografia.
Seguendo sempre gli stessi principi di etica e indipendenza.
In occasione del nostro cinquantesimo anniversario, la mostra fotografica “GUARDARE OLTRE – MSF & MAGNUM: 50 anni sul campo, tra azione e testimonianza” ripercorre questi 5 decenni di collaborazioni con Magnum, in cui siamo stati testimoni diretti e amplificatori per l’opinione pubblica internazionale di crisi lontane dai riflettori dei media.
102 scatti di 18 fotografi – tra foto storiche d’archivio e sette nuove produzioni – saranno esposti alla Fabbrica del Vapore a Milano dal 27 febbraio al 6 marzo, con il patrocinio del Comune di Milano e il sostegno della Mutua sanitaria Cesare Pozzo, raccontando le principali crisi umanitarie dal 1971 a oggi: dai conflitti in Afghanistan e Libano degli anni ‘70 e ‘80 al genocidio in Ruanda, dal massacro di Srebrenica al terremoto ad Haiti fino alle attuali rotte migratorie in Messico, Grecia e nel mar Mediterraneo, sottolineando l’importanza della testimonianza, “guardando oltre” ogni ostacolo e indifferenza.
Tra i grandi fotografi Magnum coinvolti anche gli italiani Paolo Pellegrin con le sue foto sull’accesso alle terapie per l’HIV negli anni ‘90, l’emergenza in Darfur del 2003, il terremoto di Haiti del 2010, le attività di SAR nel Mediterraneo e Lorenzo Meloni con il suo racconto sulla battaglia di Mosul nel 2017.
Dove
La mostra sarà aperta al pubblico con ingresso libero dal 27 febbraio al 6 marzo presso la Sala Messina della Fabbrica del Vapore (via Giulio Cesare Procaccini 4 Milano) tutti i giorni dalle 10.00 alle 19.00 con prenotazione obbligatoria.
Oltre alla mostra, domenica 27 febbraio dalle 11.30 alle 13.00 ci sarà un reading del libro “Le Ferite” edito da Einaudi per i nostri 50 anni con visita guidata a cura di Francesca Mapelli, nostro direttore della comunicazione e a seguire un brunch solidale (parte del ricavato a sostegno di MSF) presso il bar Vapore 1928.
Dai conflitti in Libano e Afghanistan degli anni 70 ai massacri in Ruanda e nella ex Jugoslavia fino alle attuali crisi umanitarie in Siria, Iraq e lungo le rotte migratorie, da più di cinquant’anni i nostri operatori umanitari si trovano a lavorare fianco a fianco con i fotografi della Magnum e anche se con strumenti diversi – un bisturi o una macchina fotografica – condividiamo una stessa missione fondamentale: testimoniare. Questa mostra vuole celebrare questa storica collaborazione di MSF e Magnum. Un “guardare oltre” e portare immagini che rappresentano la nostra testimonianza di 50 anni”. Stefano Di Carlo Direttore generale di MSF
Sostiene la mostra la Mutua sanitaria Cesare Pozzo che, come noi, mette al centro del suo operato la cura della persona.
Quest’anno la Cesare Pozzo compie 145 anni. Un cammino virtuoso che ha sempre messo al centro delle nostre azioni l’aiuto reciproco, la solidarietà e il no profit e che ci porta a perseguire sempre con impegno il nostro principale obiettivo: garantire il diritto universale alle cure ai nostri 350mila assistiti. Ciò che lega la nostra realtà a MSF, seppur con confini differenti, è l’attenzione rivolta al singolo, a chi in quel momento ha più necessità di aiuto. Da sempre agiamo contando sul modello che il movimento mutualistico può rappresentare e che ci impegnano a far conoscere: aiutiamoci, aiutando”. Andrea Giuseppe Tiberti Presidente nazionale della Mutua sanitaria Cesare Pozzo
Le crisi del passato
Le foto di archivio Magnum offrono allo spettatore un viaggio lungo i principali fatti storici degli ultimi 50 anni. Come gli scatti di Raymond Depardon – il primo a documentare la nostra azione in Ciad nel 1977 – che raccontano i conflitti in Libano del ’76 e in Afghanistan nel ‘79, quando le nostre équipe di attraverso il Pakistan trasportarono medicinali e attrezzature a cavallo, allestendo piccoli ospedali tra le montagne afgane.
“Non c’era altro posto dove farsi curare, i nostri centri erano oasi in mezzo a deserti d’indifferenza. Ricevevamo quasi 3.000 persone al mese, dalla mattina alla sera”. Juliette Fournot Capo missione di MSF in Afghanistan
L’obiettivo di Gilles Peress ha raccontato l’impotenza di fronte al genocidio in Ruanda, quando tra l’aprile e il luglio 1994 vennero uccise quasi un milione di persone e per la prima volta lanciammo un allarme all’Assemblea Generale dell’ONU.
“Bisognava rompere completamente con la neutralità umanitaria e affermare quanto fosse necessario intervenire militarmente contro gli autori di quelle atrocità”. Jean-Hervé Bradol Coordinatore di progetto per MSF in Ruanda
Quando scatto queste foto, sono fuori di me. Siamo stati testimoni, sapevamo cosa sarebbe successo. Prendere in mano la macchina fotografica significa almeno confrontarmi con questa responsabilità: non voglio far finta di niente”. Gilles Peress Fotografo
Scrive Gilles Peress in Les Tombes sul massacro di Srebrenica, quando noi, unica organizzazione ancora presente, fummo costretti a evacuare lasciando parte del personale e dei pazienti sul campo e chiedemmo un’indagine sulla passività delle truppe delle Nazioni Unite al momento della tragedia.
E ancora la lotta per l’emergenza HIV in Africa, il terremoto ad Haiti nel 2010 fino alla recente rotta migratoria del Mediterraneo, immortalate dalla macchina fotografica di Paolo Pellegrin, che a bordo della Bourbon Argos ha raccontato le nostre prime attività di ricerca e soccorso nel 2015.
Storie di umanità dal Tigray, Congo, Ruanda, Iraq, l’emergenza climatica in Niger e le rotte migratorie del mondo.
L’attualità
Dal passato si passa alle crisi di stretta attualità con i sette progetti speciali che raccontano storie di umanità in contesti di emergenza in cui siamo oggi impegnati in prima linea.
Enri Canaj ha raccontato la condizione di migranti e rifugiati sulle isole greche di Lesbo e Samos, dove da anni curiamo ferite fisiche e psicologiche denunciando le condizioni disumane in cui sono costrette a vivere più di 11.000 persone. Da più di otto mesi il conflitto scoppiato nel Tigray, regione del nord dell’Etiopia, ha costretto 60.000 persone a fuggire oltre il confine e creato più di 1 milione di sfollati interni.
A dicembre scorso Thomas Dworzak era in prima linea con la sua macchina fotografica per documentare l’arrivo di profughi etiopi in Sudan, dove siamo una delle poche organizzazioni a fornire cure mediche attraverso cliniche mobili. Newsha Tavakolian con i suoi scatti ha scelto invece di rappresentare le donne nei campi sfollati dell’Ituri in Repubblica Democratica del Congo, dove 2,8 milioni di persone sono vittime di violenze e scontri. Nelle zone di Drodro, Nizi e Angumu, supportiamo le strutture sanitarie che offrono cure per malattie pediatriche, malnutrizione, malaria, violenza sessuale e salute mentale.
Nell’obiettivo di Yael Martinez c’è poi una delle principali rotte migratorie al mondo tra Messico e Honduras dove migliaia di persone percorrono chilometri a piedi o in autobus per sfuggire a violenze e instabilità ma restano bloccate per mesi in città pericolose vittime di rapimenti ed estorsioni. Oltre a dare assistenza medica e supporto psicosociale, abbiamo rivolto spesso appelli internazionali per porre fine a politiche migratorie repressive e garantire adeguata protezione e assistenza umanitaria a queste persone.
Il campo di Dadaab, in Kenya, creato trent’anni fa per ospitare i somali in fuga dalla guerra civile, è arrivato ad accogliere anche circa mezzo milione di persone. Il fotografo sudafricano Lindokhule Sobekwa ha incontrato generazioni di famiglie nate e cresciute in questi campi, dove abbiamo fornito assistenza sanitaria per la maggior parte dell’esistenza del campo.
Il fotografo Zied Ben Romdhane si è dedicato invece al cambiamento climatico nella regione di Zinder nel Niger meridionale, dove ha trascorso dieci giorni a catturare la vita, la cultura e le abitudini della popolazione locale. Ogni anno, con l’arrivo della stagione delle piogge, malaria e malnutrizione aumentano vertiginosamente in questa zona dove la nostra sfida principale è limitare il tasso di mortalità dei bambini piccoli.
La presa di Mosul, iniziata a ottobre 2016, con migliaia di persone ferite o uccise e più di un milione di sfollati, resta la battaglia urbana tra le più letali dalla Seconda Guerra Mondiale. Negli scatti di Nanna Heitmannh, tra palazzi fatiscenti o distrutti e i volti di mamme che hanno appena dato alla luce il loro bambino, emerge con forza la lenta rinascita della città, dove già davamo assistenza medica sulla linea del fronte nel momento di picco delle ostilità e continuiamo ora ad assistere le donne per garantire un parto sicuro.