La malattia di Chagas in Guatemala.

Osservando dall’imbarcadero di Panajachel il profilo dei vulcani che si stagliano sull’orizzonte del lago Atitlan, ci si ritrova letteralmente “incantati”, al punto che si potrebbe addirittura scordare che in Guatemala, un paese piccolo ma complesso per cultura, storia e cronaca recente, una gran parte della popolazione presenta ancora grossi bisogni sanitari irrisolti. Medici Senza Frontiere é presente e si occupa, principalmente, ma non solamente, di HIV-AIDS. Nel progetto di Olopa, per esempio, si sta per iniziare lo screening attivo dei casi di malattia di Chagas, una infermità caratteristica della regione latinoamericana, provocata dal parassita Tripanosoma Cruzi e trasmessa dalla puntura di un insetto, il triatoma, che trova in insediamenti umani poveri e dalle condizioni igieniche precarie, le condizioni ottimali per vivere e riprodursi. Queste caratteristiche fanno del Chagas una tipica “malattia socioeconomica”, legata a situazioni di degrado ambientale e di povertà cronicizzata.

Secondo le stime della Organizzazione Panamericana della Salute (OPS), sono 18 milioni le persone infettate nel continente latinoamericano, e 100 milioni quelle a rischio. Sempre secondo la OPS, la mortalità annuale si sarebbe negli ultimi vent’anni ridotta a “soli” 21,000 decessi, la maggioranza dei quali provocati da eventi cardiologici (aritmie, cardiomegalie, collassi cardiaci) o a carico del tratto digestivo (megaesofago o megacolon). Ma va ricordato che, in mancanza di un regolare sistema di screening e trattamento, i dati epidemiologi sono solo stime; inoltre, molti dei pazienti non sono consapevoli del loro status, visto che l’infezione può restare asintomatica anche per molti anni.

In Guatemala, un progetto della cooperazione giapponese ha posto le basi per il cosiddeto controllo vettoriale, ossia per l’eliminazione del triatoma dalle zone endemiche (con il termine “vettore” si designa infatti l’insetto trasportatore, o vettore, del parassita). Ma quello che continua a mancare, per le persone già infettate, è la garanzia di essere diagnosticate e, in caso di positività, di ricevere un trattamento adeguato. Dei due farmaci attualmente esistenti, quello di prima scelta, il benznidazolo, non è registrato in Guatemala, perchè il produttore Roche non è interessato ad ottenerne la registrazione, ovverossia l’autorizzazione sanitaria alla commercializzazione (ricordiamo che perché un prodotto farmaceutico venga registrato in un dato paese, è indispensabile che il produttore presenti, direttamente o attraverso un suo agente, il dossier del prodotto alle Autorità Sanitarie Nazionali). Il secondo farmaco, il nifurtimox della Bayer, sarà oggetto di una donazione rivolta a tutti i paesi endemici che ne faranno richiesta; a distanza di un paio di mesi dall’annuncio della donazione, però, non sono ancora stati resi noti i meccanismi amministrativi mediante i quali potervi accedere. Va aggiunto che i due farmaci sono più efficaci nel trattamento delle infezioni relativamente recenti; ma a dispetto delle conseguenti raccomandazioni della OMS e OPS in favore del trattamento degli “under 14”, non esistono formulazioni pediatriche nè del benznidazolo né del nifurtimox. Visto poi che non vi è unanimità di giudizio sulla loro efficacia nelle infezioni croniche, è indispensabile che si inizi quanto prima ad investigare nuovi farmaci, che presentino un miglior profilo di effetti collaterali ed una efficacia certa anche nei casi di infezione di lunga data.

Nel progetto MSF di Olopa, in Guatemala, si utilizzeranno benznidazolo e nifurtimox (il primo, malgrado la mancanza di registro, può essere legalmente utilizzato in via straordinaria, “in assenza di qualsiasi alternativa disponible nel paese)”: ma al di là di questo specifico progetto, tutti i pazienti del Guatemala dovrebbero avere l’opportunità di essere diagnosticati e trattati in maniera corretta ed efficace, senza che sia necessario fare ricorso ad eccezioni legislative o avere la “fortuna” di vivere nei pressi di un progetto di MSF. E perché questo accada, il Governo deve sì avere la volontà politica di farsi carico di questi pazienti, ma deve pure poter accedere a prezzi equi ed in modo semplice agli strumenti terapeutici necessari.

Le persone infettate dal Chagas sono spesso inconsapevoli del loro status; sono pazienti senza alcuna visibilità mediatica, ed il cui diritto al trattamento non é discusso né riconosciuto, perché non è neppure reso pubblico (quanti articoli sulla malattia di Chagas escono ogni anno, nella stampa non specializzata?). Eppure trattarli é già possibile, e trattarli meglio può diventare possibile, se il settore farmaceutico si impegna nel portare avanti una ricerca adeguata: queste 21,000 morti/anno in America latina, sono morti evitabili, morti che la comunità internazionale non dovrebbe più tollerare.

Raffaella Ravinetto, farmacista MSF