In Burundi, dove il tasso di mortalità infantile è tra i più alti al mondo, si verificano diverse centinaia di casi all’anno. Nel luglio del 2010, MSF ha aperto un centro per intervenire chirurgicamente sulle fistole.
A due ore di macchina dalla capitale Bujumbura, l’ospedale regionale di Gitega sorge tra le colline a un’altitudine di 1850 metri. Al suo interno, MSF ha costruito il centro Urumuri (la luce che mette in fuga le tenebre in kirundi, la lingua locale) per curare le fistole con il sostegno del Ministero della Sanità locale. Questa malattia continua a colpire le popolazioni sub sahariane per la mancanza di accesso a cure specialistiche in particolare per le donne incinte. “Quando l’accesso alle cure è limitato, le complicanze durante il travaglio o il parto portano spesso alla morte della madre o del bambino” spiega Geert Morren, chirurgo ed esperto in fistole per MSF.
“Se la donna sopravvive a un parto complicato può avere una necrosi dei tessuti, risultante dalla formazione di una lacerazione tra la vescica e la vagina, il retto e la vagina o l’uretra e la vagina. Lacerazione che viene denominata fistola ostetrica”.
Questa lesione lascia un segno indelebile: incontinenza urinaria o fecale che spesso provoca esclusione sociale. “Ho perso il mio bambino durante il parto”, racconta Violetta di 23 anni, “Appena è apparsa la lacerazione, sono diventata incontinente. Mio marito non riusciva a sopportarlo e mi ha buttato fuori di casa insieme a nostro figlio di 3 anni. Subito dopo si è sposato con un’altra ragazza del villaggio”.
Pascasie di 32 anni e madre di 8 figli parla della sua esperienza: “Ho avuto la fistola nell’ultima gravidanza. Mio marito mi ha messo in ‘quarantena’ per il cattivo odore che emanavo. Quando camminavo per il villaggio, tutti si tappavano il naso davanti a me…Una volta passata, sentivo le loro risate”. Questi non sono dei casi isolati in Burundi dove la fistola è descritta come ‘la malattia nascosta’. Una locuzione che svela molto sulla vita di tutti i giorni di queste povere donne. Donne incontinenti che vivono nascoste dagli altri e soffrono in silenzio rassegnate al proprio destino.
“Ho vissuto con ‘questa cosa’ per 12 anni” spiega Pélagie, una donna di 42 anni. “Pensavo di non poter guarire. Un giorno sono andata in ospedale a Bujumbura dove mi hanno detto che da tempo operavano le fistole. Ma il costo dell’intervento era molto alto. Poco tempo dopo questa visita, mio marito è morto. E ho perso la speranza di trovare i soldi per l’operazione! Dove potevo trovarli, essendo vedova?” Oggi Pélagie ha una ragione in più per sperare. “I miei bambini hanno sentito alla radio che Medici Senza Frontiere ha appena aperto un centro nell’ospedale di Gitega dove curano gratuitamente le donne affette da questa malattia. Con l’aiuto della mia famiglia e dei vicini ho trovato i soldi per il viaggio e sono andata in ospedale.
Pélagie si è sottoposta a un intervento chirurgico al Centro di Urumuri dove ha incontrato Pascasie, Violetta e molte altre donne che si trovavano nella sua stessa condizione. Questo è il primo centro specializzato in fistole del Paese aperto 24 ore su 24. Le pazienti sono ricoverate in 4 case, costruite da MSF all’interno dell’ospedale regionale di Gitega, con una capacità di 58 posti letto, infrastrutture per agevolare ricovero e degenza, cucina, lavanderia, servizi igienici e sala per le visite mediche. A breve distanza da questo “villaggio delle donne” si trova la sala operatoria che ha lavorato a pieno ritmo fin dall’apertura del centro nel luglio del 2010. “L’obiettivo è quello di operare 350 donne all’anno per un periodo di tre anni”, spiega Chantal Dheur, Capomissione di MSF in Burundi. “Questo lasso di tempo ci permetterà di formare tre medici locali per intervenire chirurgicamente sulla fistola”.
Da marzo 2010, il Ministero della salute del Burundi ha dichiarato che il trattamento deve essere gratuito per tutte le donne che hanno questa malattia. Malattia che ne colpisce circa 10.000 nel Paese e quasi un milione e mezzo in tutto il continente africano. Nonostante le statistiche, il dottor Morren, che ha iniziato a operare le fistole fin dall’apertura del centro, non ha perso il suo ottimismo: “Le fistole ostetriche si possono tranquillamente evitare se investiamo di più sui test per le gravidanze ad alto rischio, nella formazione dello staff e nelle infrastrutture sanitarie. Il motivo principale è che questa malattia è scomparsa in Europa dove per un parto con complicazioni viene effettuato il cesareo in buone condizioni sanitarie”.
L’accesso alle cure ostetriche di emergenza, incluso il parto cesareo in buone condizioni igieniche, è quindi essenziale per sradicare la fistola ostetrica. Per quelle che ne sono escluse, il dottor Morren pensa che ci possa essere anche un’altra soluzione oltre all’operazione: intervenire entro sei settimane dal parto quando la lacerazione non è troppo grande. “Al momento, nella ricerca in questo campo, stiamo trattando la ‘fistola recente’ usando un presidio (tubicino, sonda etc.) da inserire nella vescica per permettere alla lacerazione di rimarginarsi. Se funziona, potrebbe essere una grande notizia per il futuro di questo trattamento!”.
In realtà, visto che questa tecnica non richiede un intervento chirurgico, le donne potrebbero essere curate nei centri sanitari senza aver bisogno di andare in ospedale. Questo trattamento, inoltre, costerebbe molto di meno rispetto a un’operazione chirurgica. E, conclude il chirurgo: “Se funziona, possiamo divulgare questa tecnica e liberare molte donne dalla sofferenza, dalla vergogna e dall’esclusione sociale”.
Benoit Feyt
Communication officer MSF