A seguito di ripetuti episodi di violenza contro migranti e rifugiati, annunciamo la sospensione delle attività nei centri di detenzione di Al-Mabani e Abu Salim a Tripoli.
Non è una decisione facile da prendere perché significa che non saremo presenti lì dove sappiamo che le persone soffrono quotidianamente. I continui e violenti incidenti che causano gravi danni a migranti e rifugiati, nonché il rischio per la sicurezza del nostro personale, hanno raggiunto un livello che non siamo più in grado di accettare. Fino a quando la violenza non cesserà e le condizioni non miglioreranno, non potremo più fornire assistenza medico-umanitaria in queste strutture”. Beatrice Lau Capomissione MSF in Libia
Abusi e violenze in aumento
Da febbraio di quest’anno, maltrattamenti, abusi e violenze contro le persone detenute in questi centri di detenzione sono aumentati costantemente. Nell’arco di una sola settimana, le nostre équipe hanno assistito in prima persona e ricevuto segnalazioni di almeno tre incidenti violenti che hanno provocato gravi danni fisici e psicologici.
Il 17 giugno, durante una visita al centro di detenzione di Al-Mabani, dove si stima che almeno 2.000 persone siano detenute in celle gravemente sovraffollate, le nostre équipe hanno assistito ad atti di violenza perpetrati da parte degli addetti alla sicurezza, inclusa l’indiscriminata violenza contro alcune persone colpite mentre lasciavano le loro celle per essere visitate dai nostri operatori sanitari.
Il nostro team ha ricevuto segnalazioni di tensioni crescenti la notte precedente, culminata in una violenza di massa, in seguito alla quale sia i migranti e i rifugiati che gli addetti alla sicurezza hanno riportato diverse ferite. Abbiamo trattato 19 pazienti con lesioni da pestaggio, incluse fratture, ferite da taglio, abrasioni e traumi da corpo contundente. In seguito alle ferite riportate alle caviglie, un minore non accompagnato non è più in grado di camminare. Altri hanno raccontato di averi ricevuto abusi fisici e verbali da parte degli addetti alla sicurezza dei centri.
In quella stessa settimana, il 13 giugno, sono state usate armi automatiche che hanno ferito alcune persone detenute nel centro di detenzione Abu Salim causando numerose vittime, secondo le testimonianze raccolte dai nostri team. Per i sette giorni successivi all’incidente è stato impedito l’accesso al centro alle nostre équipe, destando preoccupazioni per la mancanza di cure alle persone potenzialmente ferite e gravemente malate presenti nel centro.
Condizioni di vita sempre più disperate
Il crescere dei casi di violenza dall’inizio del 2021 va di pari passo con il significativo aumento del numero di migranti, richiedenti asilo e rifugiati intercettati nel Mediterraneo, costretti a ritornare in Libia e rinchiusi nei centri di detenzione dalla Guardia costiera libica, finanziata dall’UE. Dal 19 giugno, oltre 14.000 persone sono state intercettate e costrette a ritornare in Libia, superando il numero totale di ritorni forzati dell’intero 2020.
Questi numeri hanno portato a un grave sovraffollamento e un deterioramento delle già disperate condizioni di vita. Nella maggior parte dei centri di detenzione non c’è né un’adeguata ventilazione né luce naturale; alcuni sono così sovraffollati che in un metro quadro convivono fino a quattro persone, costrette a fare i turni per sdraiarsi e dormire. Queste persone non hanno neanche accesso costante all’acqua potabile e alle strutture igieniche.
Inoltre, migranti e rifugiati ricevono quantità insufficienti di cibo: uno o due minimi pasti al giorno, di solito un pezzo di pane e formaggio o un piatto di pasta da condividere con gli altri. I nostri medici hanno osservato come a volte le persone usino farmaci per gestire la fame. La mancanza di cibo nutriente ha causato problemi anche alle donne che non riescono a produrre latte materno a sufficienza per allattare i propri figli. Una donna ha raccontato al nostro team di essere così disperata da non riuscire a nutrire la sua bimba di cinque giorni che ha provato a darle la sua razione di cibo solido per evitare che morisse di fame.
In queste condizioni disumane, le tensioni sfociano spesso in episodi di violenza tra gli addetti alla sicurezza dei centri e le persone detenute arbitrariamente al loro interno.
Cosa chiediamo
Chiediamo la fine delle violenze e il miglioramento delle condizioni per i rifugiati e i migranti bloccati nei centri di detenzione di Al-Mabani e Abu Salim. Ribadiamo inoltre il suo appello a porre fine alla detenzione arbitraria utilizzata da lungo tempo in Libia e all’evacuazione immediata dal paese di migranti, richiedenti asilo e rifugiati esposti a condizioni che mettono a rischio le loro vite, anche nei centri di detenzione.
I nostri colleghi hanno visto e ascoltato testimonianze di uomini, donne e bambini vulnerabili, già detenuti in condizioni disperate, soggetti a ulteriori abusi e a rischi potenzialmente letali. Nessuna persona intercettata in mare dalla Guardia costiera libica, finanziata dall’UE, dovrebbe essere costretta a tornare nei centri di detenzione in Libia. Si deve porre fine alla violenza nei centri di detenzione e procedere con l’evacuazione di tutte le persone costrette a viverci in condizioni disumane”. Ellen van der Velden Responsabile operazioni MSF in Libia