Malawi. È nata la figlia delle inondazioni

Il Malawi è stato recentemente devastato dalla più grande alluvione che si ricordi a memoria d’uomo. A tre settimane dal disastro, la gente del posto sta ancora lottando per continuare a vivere e cerca di prepararsi al meglio per affrontare un difficile futuro, come l’arrivo di un bambino.

Quando l’alluvione si è abbattuta, Berita non è riuscita a scappare. Scappare dove? Non c’è nessun posto in cui andare, perché Makhanga, un insieme di villaggi con 5000 abitanti, sorge su una bassa collina che si erge leggermente sulle vaste pianure del sud del Malawi. Berita è bloccata anche per un altro motivo: è all’ottavo mese di gravidanza.

L’inondazione arriva nel cuore della notte. Berita si sveglia con l’acqua che lambisce il suo letto. Il livello dell’acqua cresce lentamente. Mangia i campi di grano che nutrono il villaggio, contamina i pozzi delle famiglie, e il fango, denso e melmoso, invade la clinica locale…farmaci, strumenti tecnici, tutto distrutto. Non c’è nessun posto in cui andare, si può solo provare a salire più su…sugli alberi. Mathias, il marito di Berita, prende sua moglie e i loro cinque figli e li tira fin sui rami, ancora intrisi dalle forti piogge. Rimangono lì per quattro giorni, con il bimbo che continua a scalciare nella pancia.E poi arriva il momento.

La mattina del 22 gennaio, dopo 13 giorni di inondazioni che le hanno portato via tutto, Berita sente che il bambino è pronto per nascere, anche se lei non lo è affatto. “Siamo andati alla clinica, ma era chiusa. Non c’era nessuno che potesse aiutarci. Mi è stato detto di aspettare – racconta Berita – che sarebbe arrivato un elicottero per portarmi a un’altra clinica. Nel frattempo Makhanga è diventata una specie di isola tagliata fuori dal resto del paese, a parte i lenti aiuti che arrivano dall’alto, dagli elicotteri.

“Appena atterrati, ci dicono che c’era una donna che stava per partorire, ma nessuno che fosse capace di far nascere il bambino. Così è toccato a me” dice Clive Kasalu, infermiere del Malawi e ostetrico che lavora per MSF. Clive, che ha con sé un kit di emergenza e 14 anni di esperienza, si sente abbastanza sicuro ma aggiunge “abbiamo dovuto improvvisare un po’”. Solo una parte della clinica era stata pulita durante i tre giorni che il team MSF aveva lavorato a Makhanga.

Clive incarica un giovane “di correre su e giù per prendere l’acqua”, mentre lui si concentra sulla madre sofferente. Nel giro di un’ora, Berita è in pieno travaglio, mentre il marito Mathias, capo del villaggio, aspetta fuori preoccupato – qui non si usa che il padre assista alla nascita del bimbo. A mezzogiorno, a Makhanga c’è un abitante in più: una bimba di 2,9 chili che urla affamata.Tre settimane dopo l’inondazione, Makhanga è ancora un’isola di abitanti in trappola.

MSF sta portando regolarmente assistenza medica in elicottero e aiuta gli abitanti a ricostruire la loro vita ma le conseguenze di quest’alluvione, che i più anziani ricordano come la più terribile per il Malawi, si faranno sentire a lungo.  “Sono molto felice per il mio bambino” dice Berita, “ma non abbiamo abbastanza cibo, niente acqua pulita e nessun vestito”. La sua casa di fango e mattoni, costruita un anno fa, è ancora in piedi, ma conserva tutti i segni di questa devastante alluvione. È anche affollata perché i parenti che hanno perso le loro case hanno trovato rifugio qui: ora ci sono 13 persone che vivono in una casa con una sola camera da letto.  Il campo recentemente seminato non ha nessuna possibilità di produrre per i prossimi mesi.

La vita va avanti. A una settimana dalla nascita, la bambina non ha ancora un nome.