Il naufragio di Cutro un anno dopo la strage

Il naufragio di Cutro un anno dopo la strage

Il 26 febbraio 2023 naufragava a largo di Cutro in provincia di Crotone un’imbarcazione di migranti dalla Turchia: dei 180 a bordo, sono 94 i morti in mare, di cui 34 bambini.

A un anno dalla tragedia, il team di Medici Senza Frontiere ricorda i soccorsi ai familiari delle vittime e la risposta politica alla strage: dai provvedimenti che ostacolano il soccorso da parte delle navi ONG fino al Decreto Cutro, divenuto legge, che ha l’obiettivo di impedire gli sbarchi piuttosto che evitare le morti in mare.

Vedo le luci, vedo la terra! Il capitano ci ha detto che tra un’ora arriveremo in Italia”.

Sono le ultime parole che Maida, 16 anni, ha scritto alla sua famiglia nella notte tra il 25 e il 26 febbraio di un anno fa. L’ultimo messaggio prima che la inghiottisse il mare, a 150 metri dalla spiaggia di Steccato di Cutro, in Calabria. Dopo 4 giorni di navigazione su un vecchio peschereccio, stipata tra quasi 200 persone partite dalla Turchia, Maida aveva finalmente l’Italia davanti.

Era partita da sola. Quando ha deciso, non lo ha detto a nessuno in famiglia perché sapeva che avrebbero provato a fermarla. Lei voleva avere un futuro, voleva studiare e diventare un avvocato. Ma le ragazze come lei in Afghanistan non hanno scelta. Per studiare doveva arrivare in Europa”, spiega Farid, lo zio di Maida.

Da quattordici anni in Germania, dopo un viaggio di dieci mesi dall’Afghanistan, passando per la Grecia e i Balcani, Farid è stato il punto di riferimento dei sogni e delle ambizioni di Maida: raggiungere lo zio in Europa e, finalmente, poter studiare.

Sapevo che si era messa in viaggio, ma non sapevo su che barca fosse. Ero molto preoccupato per lei perché conosco il tragitto e so quanto è pericoloso e difficile. Lei era così determinata a raggiungere l’Europa e realizzare il suo sogno che sembrava quasi ignorare tutti i pericoli del viaggio.”

Si era preparato a prendersene cura una volta arrivata, a guidarla e orientarla nei suoi primi mesi in Europa.

Ma su Farid è ricaduta la più terribile delle responsabilità: identificare il cadavere della nipote. Maida è morta all’alba del 26 febbraio 2023, dopo che il peschereccio su cui viaggiava è colato a picco a poche centinaia di metri dalla costa italiana, dopo aver colpito le rocce sul fondale. A un anno da quella che è stata chiamata la strage di Cutro, il numero dei dispersi è ancora incerto.

Nei giorni successivi al naufragio, il mare ha restituito i corpi delle vittime accertate: 94 persone.

In quei giorni, mentre Farid cercava disperatamente il corpo di sua nipote tra i cadaveri del naufragio, un altro uomo cercava il coraggio di chiamare sua sorella.

Dopo che siamo caduti in acqua, abbiamo messo Ahmad su un pezzo di legno che galleggiava, per farlo stare a galla. Siamo rimasti in acqua almeno due o tre ore, prima che i soccorsi arrivassero. Ahmad ha iniziato ad avere dolore al petto. Aveva freddo. Ha smesso di parlare e si è spento. Quando sono arrivati a soccorrerci hanno provato a rianimarlo ma era troppo tardi”. È quello che ricorda Firas di quel 26 Febbraio.

Firas era tra le quasi 200 persone a bordo del peschereccio naufragato a Cutro un anno fa. Ha lasciato la Siria nel 2014, quando la guerra ha messo a rischio la vita della sua famiglia.

Siamo stati in Turchia negli ultimi anni, ma le discriminazioni e le violenze contro i siriani sono diventate insostenibili. Sono partito con i miei nipoti, Hassad, 21 anni e Ahmad, 6 anni. Sognavamo di poter far studiare Ahmad e di far arrivare il resto della famiglia in Europa. Invece, ho dovuto dire a mia sorella che suo figlio di sei anni è morto in mare”.

Numeri sulle bare e un dolore senza scampo

Fare quella chiamata è stato un momento drammatico, Firas e il nipote non avevano la forza di chiamare la mamma del bambino per dirle che era annegato,”. Mara Tunno Psicologa MSF

Quel 26 febbraio è corsa a Cutro con i mediatori e le mediatrici interculturali, per assistere i sopravvissuti e i familiari delle vittime.

Non ho mai visto così tanto dolore in una sola stanza. Tutte quelle bare, con dei numeri sopra. Ognuno di quei numeri era una vita, una storia, dei sogni. Quel dolore continuiamo a portarcelo addosso”. Mara Tunno Psicologa MSF

Mara ricorda i giorni dopo il naufragio in cui, con il resto del team MSF, ha dato supporto psicologico ai famigliari delle vittime, in momenti drammatici come l’identificazione dei corpi.

L’anno più letale nel Mediterraneo, ma nessuna vera risposta

Il naufragio di Cutro del 26 Febbraio è stato solo l’inizio di uno degli anni più letali nel Mediterraneo Centrale con oltre 2,5001 persone morte e disperse nel tentativo di raggiungere le coste europee. Dal 2014, sono quasi 23.000 le persone che hanno perso la vita nel Mediterraneo Centrale e cosa è stato fatto concretamente per impedire altre perdite umane?

Niente, a guardare i decreti e le leggi approvati dai governi italiani e le politiche europee degli ultimi anni.

Dopo il tragico naufragio di Cutro e la spaventosa media di sette vite spezzate ogni giorno nel disperato tentativo di attraversare il Mediterraneo centrale, ci saremmo aspettati che i governi nazionali e le istituzioni europee mettessero al centro delle loro priorità questo tema. Eppure, al di là della retorica vuota e scomposta del giorno successivo, una risposta istituzionale seria semplicemente non è arrivata. Le autorità italiane non hanno assunto una sola iniziativa concreta per prevenire altre tragedie: nessuna azione per rafforzare il soccorso in mare, che anzi è stato indebolito con la criminalizzazione del ruolo della società civile; nessuna iniziativa specifica, salvo la cieca prosecuzione di quelle politiche di deterrenza che continuano a impedire modalità di accesso legale e sicuro. “A partire dal primo decreto-legge del 2023 (poi convertito nella legge 15/2023), il governo italiano ha messo in atto misure sempre più rigide per ridurre la capacità delle ONG, attive nel Mediterraneo, di essere presenti in mare e di effettuare soccorsi. Mentre alle ONG viene imposto di ignorare richieste d’aiuto, di effettuare salvataggi multipli e di dirigersi verso porti di sbarco sempre più lontani, le persone continuano a morire. Il decreto che è stato varato all’indomani del naufragio del 26 febbraio, rinominato decreto-Cutro, piuttosto che evitare che le persone muoiano in mare, minaccia con la detenzione chi sopravvive, riduce i diritti dei richiedenti asilo, limita i servizi di protezione, facilita le espulsioni ed espone migliaia di persone migranti alla condizione di irregolarità. Queste misure hanno il chiaro obiettivo di dissuadere e impedire gli sbarchi sulle coste italiane, anche se il prezzo da pagare sono vite umane”.Marco Bertotto Direttore dei programmi MSF

Dopo un anno dal tragico naufragio del 26 febbraio, abbiamo ancora recuperato corpi senza vita in mare. Solo pochi giorni fa, durante un’operazione di soccorso nel Mediterraneo Centrale, i team MSF a bordo della Geo Barents hanno trovato il cadavere di una giovane donna morta durante il viaggio, su un barcone partito dalla Libia. Un’altra donna che viaggiava sulla stessa barca è morta poche ore dopo, mentre altre tre persone sono disperse dopo il naufragio di un’altra imbarcazione, di cui abbiamo soccorso i superstiti.

Non sono le minacce di detenzione e di diritti negati che fermano le morti in mare. Non hanno fermato Maida e Ahmed, morti di frontiera e di scelte politiche disumane. Se avessero avuto una scelta, se avessero avuto un’alternativa a una barca stracarica tra le onde, se avessero avuto canali di accesso legali e sicuri, forse Maida e Ahmed oggi non sarebbero numero su una bara, ma starebbero inseguendo i loro sogni.