Ricerca e soccorso in mare: domande e risposte

Ricerca e soccorso in mare: domande e risposte

Anche quest’anno torniamo in mare per salvare vite nella tratta migratoria più letale al mondo: il Mediterraneo centrale. Lo facciamo con una nuova nave, la Ocean Viking, gestita in collaborazione con SOS MEDITERRANEE.

Con questa pagina, dove raccoglieremo le risposte alle domande più comuni, vogliamo spiegare questa scelta, sfatare i miti più ricorrenti su ciò che accade nel Mediterraneo e tenere aperto un dialogo con chi avesse dubbi, convinti che le parole, i numeri e i fatti possano aiutare tutti a comprendere meglio il tema complesso della ricerca e soccorso in mare.

Per aggiornamenti in diretta, potete seguire su Twitter: @MSF_Italia e @MSF_sea

La Ocean Viking è una nave di rifornimento lunga 69 metri e larga 15,5. Batte bandiera norvegese. Può ospitare a bordo fino a 200 persone soccorse. Il team della nave è composto da 9 operatori di MSF che si occupano dei bisogni medico-umanitari delle persone soccorse (quattro medici – un dottore, due infermieri, un ostetrico – un logista, un mediatore culturale, un coordinatore per gli affari umanitari, un responsabile per la comunicazione e un capoprogetto, che coordina il team) e da 12 persone di SOS MEDITERRANEE che si occupano delle attività di ricerca e soccorso.

Perché tornate in mare?

Torniamo in mare per salvare vite. La situazione in Libia peggiora ogni giorno, il sistema di ricerca e soccorso in mare è stato smantellato e il Mediterraneo si conferma la rotta migratoria più letale al mondo. Nei primi sette mesi dell’anno, almeno 576 persone – 576 uomini, donne e bambini – sono morte nel tentativo di raggiungere l’Europa. E sono solo quelle documentate. Oggi, senza un forte assetto di ricerca e soccorso e senza sufficienti navi in mare per testimoniare, nessuno può veramente sapere quante sono. Quello che tutti sanno invece, è che queste morti potrebbero essere evitate.
Salvare vite è un obbligo legale che gli stati dovrebbero avere come priorità. Fino a quando le persone continueranno ad annegare scappando da violenze terribili come quelle che vediamo in Libia, e fino a quando i governi europei continueranno a ignorare le proprie responsabilità e i propri obblighi di ricerca e soccorso, noi faremo tutto il possibile per continuare a salvare vite in mare.
Vogliamo salvare vite e denunciare l’altissimo costo umano delle politiche migratorie messe in atto dai governi europei nel Mediterraneo. Richiamare l’attenzione pubblica su ciò che testimoniamo nei nostri progetti è un nostro principio fondamentale.

Che fine ha fatto l’Aquarius, la vostra nave precedente?

Alla fine del 2018, la nave Aquarius era rimasta bloccata in porto a Marsiglia perché nessun governo era disposto a darci una bandiera, a causa di esplicite pressioni politiche da parte dell’Italia e dopo due anni di una sostenuta campagna avviata dal governo italiano e supportata da altri stati europei, per delegittimare, diffamare e ostacolare le organizzazioni umanitarie impegnate a soccorrere persone vulnerabili nel Mediterraneo.

Il caso rifiuti  è stato solo l’ultimo capitolo di questa campagna di criminalizzazione. Senza bandiera e con le accuse della Procura, siamo stati costretti a chiudere le attività di quella nave, ma da subito ci siamo messi a cercare soluzioni alternative. La nuova nave Ocean Viking è il risultato di questi sforzi.

La vostra presenza in mare non incentiva le partenze, aiutando i trafficanti?

È stato dimostrato da diversi studi indipendenti che non esiste alcuna correlazione tra il numero di persone che intraprendono la traversata in mare e l’intensità delle operazioni di salvataggio. Per fare solo qualche esempio, nell’aprile del 2015, dopo la chiusura dell’operazione di soccorso italiana Mare Nostrum, più di 1200 persone sono morte in due tragici naufragi: stavano tentando la traversata anche se non c’erano più navi di soccorso governative e prima ancora che le ONG scendessero in mare. Nel 2019, delle 8.400 persone che hanno preso il mare sui barconi nei primi sei mesi dell’anno, il 70% è partito tra maggio e giugno, quando la presenza delle navi umanitarie era ai minimi storici. In tutto il semestre, infatti, le ONG sono state presenti nella zona di ricerca e soccorso per poco più di 60 giorni complessivi.
Ad aiutare i trafficanti non siamo noi, ma le politiche europee che non offrono vie legali e sicure per chi cerca di mettersi in salvo, costringendo le persone a rischiare la vita nelle mani dei trafficanti.

Perché non li aiutate a casa loro?

Li aiutiamo ovunque nel mondo. Abbiamo progetti in più di 70 paesi, in contesti di guerra, violenze, povertà estrema, epidemie, catastrofi naturali. Lungo la rotta della migrazione, assistiamo chi è costretto a lasciare tutto nei paesi da cui partono e nei paesi che attraversano durante il loro disperato viaggio, compresa la Libia. Dal Bangladesh al Sud Africa, dalla Nigeria ad Haiti, dal Venezuela al Messico, non facciamo distinzione: per noi una persona che rischia la vita è una persona da salvare. A questo link c’è il rapporto su tutte nostre attività nel mondo.

Non dovreste fare i medici, invece di fare politica?

Siamo nati con il doppio mandato di curare e testimoniare, e davanti a sofferenze e morti evitabili non possiamo stare in silenzio, soprattutto se sono causate consapevolmente dalle politiche dei governi. Allo stesso modo, non stiamo in silenzio quando le grandi aziende farmaceutiche gonfiano i prezzi dei farmaci salvavita per fare profitto o quando le parole possono contribuire a migliorare le condizioni delle popolazioni che assistiamo. Torniamo in mare anche per testimoniare ciò che tanti oggi vorrebbero nascondere. Proprio in quanto medici non possiamo che denunciare le politiche disumane di Francia, Germania, Italia e degli altri governi europei, che creano sofferenza invece di trovare soluzioni.

È vero che fate gli interessi dei trafficanti?

Come organizzazione medico-umanitaria, il nostro unico obiettivo e interesse è salvare persone vulnerabili che rischiano la loro vita in mare. Non abbiamo alcun contatto con i network di trafficanti che operano in Libia o in altri paesi e la nostra presenza in mare non facilita in alcun modo i loro traffici, tanto che le partenze continuano anche quando non ci sono navi umanitarie operativo, come più volte dimostrato in questi anni. Tutti i salvataggi nel Mediterraneo sono realizzati nel rispetto del diritto internazionale e marittimo e in coordinamento con le autorità marittime di riferimento, che dopo il salvataggio ci indicano dove sbarcare le persone soccorse. Una volta in porto, gli uomini, le donne e i bambini soccorsi da MSF vengono affidati alle autorità nazionali, che li prendono in carico nei porti di sbarco.
A fare gli interessi dei trafficanti sono le politiche degli stati europei che impediscono l’esistenza di vie legali e sicure per raggiungere l’Europa, costringendo rifugiati e migranti a rischiare la propria vita nelle mani dei trafficanti. Solo aprendo canali legali e sicuri per chi fugge è possibile colpire in modo definitivo le reti di trafficanti e porre fine alle ingiustificate morti in mare.

Chi vi finanzia, di chi fate gli interessi?

Siamo un’organizzazione indipendente, il 100% dei fondi che raccogliamo proviene da donazioni private. Di questi, circa il 97%, arriva da privati cittadini, il resto da aziende e fondazioni selezionate. I nostri interessi sono gli interessi dei nostri pazienti, milioni di persone in 72 paesi del mondo a cui portiamo nostre cure, e delle nostre centinaia di migliaia di donatori, che grazie al loro supporto ci permettono di fare tutto questo.
L’indipendenza economica è la nostra grande forza, perché ci rende indipendenti anche sul fronte dell’azione, e ci permette di intervenire dove ce n’è più bisogno, slegati da qualunque altro obiettivo.
Non ci sono “oscuri finanziamenti” dietro ai nostri conti. Il nostro bilancio, trasparente e certificato, è consultabile da tutti sul nostro sito.

Siete una ONG francese e siete pagati dalla Francia, perché non li portate in Francia?

Anche se siamo nati in Francia nel 1971, oggi siamo un’organizzazione internazionale con sedi in più di 40 paesi e progetti medico-umanitari in oltre 70 paesi.
MSF è un’organizzazione indipendente, il 100% dei nostri fondi deriva da donazioni private e non accettiamo fondi governativi. Tre anni fa abbiamo anche deciso di rinunciare a un residuo di fondi dall’Unione Europea in opposizione alle disumane politiche migratorie europee.
I finanziamenti “francesi” di cui si parla sono una donazione devoluta a SOS MEDITERRANEE, nostro partner sulla Ocean Viking, dal Comune di Parigi, da sempre vicino alle attività dell’organizzazione. Non sono finanziamenti governativi della Francia, e rispetto al budget complessivo della nave rappresentano una quota esigua, inferiore al 3%.
Questa donazione non influenza in alcun modo la nostra azione. Non siamo noi a decidere i porti di sbarco, ma sono le autorità marittime competenti a indicarci il porto dove condurre le persone soccorse, come è previsto dalla legge e come è sempre stato da quando siamo scesi in mare nel 2015. Se le autorità competenti ci indicassero di sbarcare in Francia, e le condizioni di sicurezza per nave e persone lo consentissero, sbarcheremmo in Francia, così come abbiamo fatto a Valencia nel giugno del 2018.

Perché non li riportate in Libia o in Tunisia?

Non siamo noi a decidere i porti di sbarco, ma le autorità marittime competenti come previsto dal diritto internazionale e marittimo. Il diritto internazionale prevede espressamente che le persone soccorse in mare debbano essere portate in un luogo sicuro, che l’Agenzia dell’ONU per i rifugiati (UNHCR) e la Commissione Europea hanno stabilito essere il porto sicuro più vicino. Come organizzazione medica abbiamo come priorità il benessere delle persone soccorse, per questo cercheremo di sbarcarle tempestivamente nel porto sicuro più vicino.
La Libia non è un porto sicuro, come hanno affermato l’UNHCR, l’Alto commissariato delle nazioni Unite per i diritti umani (OHCHR) e il Segretario Generale dell’ONU dopo la sua visita a Tripoli ad aprile 2019. Noi siamo presenti in alcuni centri di detenzione libici dove forniamo cure mediche, e sappiamo molto bene che la Libia non è un porto sicuro, perché vediamo con i nostri occhi le condizioni disumane in cui sono trattenute le persone, esposte ad abusi e violenze e ora anche bloccate nel fuoco incrociato del conflitto in corso.
La Tunisia è un paese meno pericoloso della Libia, ma resta al di sotto dei livelli minimi di sicurezza, come dimostrato da soccorsi recenti di altre navi (Sarost5, Maridive 601). Secondo le linee guida dell’UNHCR, un porto, per considerarsi sicuro, deve essere un luogo in cui: la sicurezza dei sopravvissuti non è a rischio, i bisogni umani essenziali dei sopravvissuti possano essere soddisfatti, il trasferimento dei sopravvissuti verso una nuova destinazione, temporanea o definitiva possa essere organizzato, i diritti fondamentali, tra i quali quello a non essere respinti (non respingimento), sono tutelati.

Perché tutti in Italia, perché non li portate in un altro stato europeo?

Non siamo noi a decidere dove portare le persone soccorse. Sono le autorità degli stati che coordinano i soccorsi ad indicarci il porto in cui sbarcare, che per legge deve essere il porto sicuro più vicino. Sotto il coordinamento delle autorità marittime, nel 2018, la Aquarius ha sbarcato persone in Italia, a Malta e in Spagna. Come organizzazione umanitaria, la nostra unica preoccupazione è il benessere delle persone soccorse e non potremmo comunque portarle in un porto non sicuro.
Se gli stati europei di confine, come Italia, Grecia e Spagna, continuano a gestire la maggioranza degli arrivi di migranti e richiedenti asilo è perché il sistema di asilo europeo è inefficiente. È compito dei governi europei trovare un accordo su un sistema di ricollocamento dei richiedenti asilo più equo e funzionale.
Oggi, sono molte di più le persone che vengono riportate nell’inferno dei centri di detenzione in Libia che quelle che arrivano in Italia e i numeri di arrivi sono ai minimi storici. Ricordiamo tra l’altro che i paesi al mondo che ospitano più rifugiati per quantità e per percentuale della popolazione, non sono né l’Italia, né altri paesi europei, ma paesi come Turchia, Pakistan, Uganda e Libano.

Volete infrangere la legge?

Non è assolutamente nelle nostre intenzioni. Da quando siamo scesi in mare abbiamo agito nel rispetto della legge e in coordinamento con le autorità competenti, vogliamo continuare a farlo. La sicurezza del nostro equipaggio e delle persone soccorse resterà sempre la nostra priorità, e auspichiamo nella collaborazione delle autorità perché possiamo compiere il nostro dovere di ricerca e soccorso nel modo più fluido ed efficace. A questo link potete vedere la mappa interattiva di tutti i soccorsi effettuati da MSF dal 2015.

Li portate in Italia, ma poi chi pensa all’accoglienza e all’integrazione?

Di fronte a una persona che rischia di annegare, la prima cosa da fare è salvarla e metterla fuori pericolo. Il momento dell’accoglienza e dell’integrazione sono momenti successivi, di cui tutti i governi Europei devono assumersi la responsabilità. Abbiamo progetti in Italia da oltre 20 anni, abbiamo fornito assistenza agli sbarchi e tra i lavoratori stagionali, abbiamo offerto cure mediche e psicologiche in strutture sanitarie dedicate, in centri di accoglienza straordinaria o in insediamenti informali. Oggi abbiamo all’attivo un centro per i sopravvissuti alla tortura a Roma e sportelli di orientamento socio-sanitario a Torino, Roma e Palermo, per aiutare migranti, rifugiati e richiedenti asilo ad accedere al servizio sanitario nazionale.
L’attività di ricerca e soccorso, ne siamo ben consapevoli, non è una soluzione a lungo termine: è di fatto una misura d’emergenza messa in atto a causa di un sistema d’asilo europeo non funzionante, per evitare che le persone muoiano in mare. L’Unione Europea e tutti i suoi stati membri devono impegnarsi per ripristinare un sistema di ricerca e soccorso ufficiale e dedicato, e per costruire un coordinamento europeo per l’accoglienza che alleggerisca il carico degli stati costieri più esposti, come Italia, Grecia e Spagna.

Il numero di arrivi è in calo, questo non dimostra il successo delle politiche migratorie dell’UE?

Se gli arrivi in Italia sono diminuiti è perché le persone vengono intercettate e riportate nei centri di detenzione in Libia dove sono esposte ad abusi, violenze e al rischio di cadere vittime del fuoco incrociato del conflitto in corso. Se quindi il successo significa sacrificare la vita di uomini, donne e bambini che tentano la fuga in mare, con l’unico obiettivo di tenerli lontani dalle nostre coste e dissuadere gli altri nelle loro condizioni dal cercare un rifugio sicuro in Europa, allora sì, potrebbe essere considerato un successo. I governi europei vogliono convincerci che morte e sofferenza siano un prezzo accettabile da pagare per le politiche di controllo dell’immigrazione, ma come organizzazione medico-umanitaria misuriamo il successo in termini di vite salvate e umanità. La situazione attuale mostra solo che, attuando politiche migratorie volte a dissuadere le persone e bloccarle in Libia a qualunque costo, i governi europei hanno consapevolmente causato morti e sofferenze per decine di migliaia di uomini, donne e bambini vulnerabili. Non consideriamo questo un successo.

Cosa chiedete ai governi europei?

Di avviare urgentemente un sistema di ricerca e soccorso ufficiale nel Mar Mediterraneo, coordinato a livello europeo, che comprenda autorità di coordinamento competenti e reattive in grado di assegnare un porto sicuro per lo sbarco.
Di garantire che le persone soccorse in mare abbiano il diritto di richiedere asilo quando sbarcano in un porto sicuro, di avere la loro richiesta esaminata individualmente, di essere trattate con umanità e fornite di servizi tempestivi e dignitosi, inclusi cibo, acqua, riparo e assistenza sanitaria.
Di porre fine alle azioni punitive nei confronti delle ONG che cercano di fornire assistenza salvavita.
Di avviare un meccanismo di accoglienza condiviso a livello europeo. L’attività di ricerca e soccorso infatti non è una soluzione a lungo termine, ma una misura d’emergenza messa in atto in sostituzione di un sistema di asilo non funzionante. I governi europei devono fare uno sforzo congiunto per costruire un sistema d’asilo comune.

Come possiamo aiutarvi?

Crediamo nel dialogo e nella forza della verità. Aiutateci a spiegare i motivi della nostra azione salvavita nel Mediterraneo prendendo spunto dalle risposte qui sopra e partecipando al dibattito online.