Il conflitto tra le Forze Armate Sudanesi (SAF) e le Forze di Supporto Rapido (RSF) ha avuto inizio nell’aprile 2023.
Secondo l’organizzazione Armed Conflict Location & Event Data (ACLED), alla fine del 2024 il conflitto aveva causato la morte di quasi 30.000 persone, in gran parte civili vittime di bombardamenti aerei, artiglieria pesante e violenti attacchi di terra che hanno preso di mira città e altre aree densamente popolate, causando la distruzione di abitazioni, scuole, ospedali e altre infrastrutture civili essenziali, come le reti idriche, elettriche e di comunicazione.
Da Khartoum il conflitto si è esteso agli Stati di Al Jazirah, Sennar, Kordofan Meridionale e Occidentale e alla regione del Darfur.
In alcune parti del Paese, le violenze hanno assunto una connotazione etnica. In particolare, nel Darfur Occidentale, le RSF hanno attaccato la comunità dei Masalit: a El-Geneina ci sono state migliaia di uccisioni, torture e stupri.
Bisogni umanitari
A marzo 2025, si registravano circa 11 milioni e mezzo di sfollati interni, il 53% costituito da donne, la stessa percentuale da minori sotto i 18 anni di età, circa un quarto da bambini di meno di cinque anni.
Dall’inizio del conflitto, quasi 4 milioni di persone sono fuggite dal Sudan attraversando i confini degli Stati confinanti, la maggior parte in Egitto (38%), Sud Sudan (28%) e Ciad (25%).
Più di 30 milioni di persone, su una popolazione di 47 milioni e mezzo, necessitano di assistenza umanitaria. Un’insicurezza alimentare acuta coinvolge più della metà della popolazione: in particolare, 8 milioni di persone si trovano al livello di “emergenza” (fase 4 IPC) e almeno 638.000 in uno stato di carestia o catastrofe (fase 5 IPC).
Quest’ultima fase coinvolge i campi profughi di Zamzam, Al Salam e Abu Shouk e l’area delle Montagne di Nuba nel Kordofan meridionale.
Situazione sanitaria
Per l’Organizzazione Mondiale della Sanità, nelle aree più colpite dal conflitto, come Khartoum e il Darfur, solamente il 20-30% delle strutture sanitarie è ancora funzionante, con i servizi ridotti al minimo a causa della grave carenza di personale e forniture mediche.
A causa del conflitto sono stati interrotti servizi sanitari salvavita, tra i quali l’assistenza ostetrica e neonatale, quella traumatologica d’emergenza, la dialisi e l’assistenza oncologica.
La copertura vaccinale nazionale è crollata dall’85% prima del conflitto a circa il 50%. Nelle zone di conflitto attivo, i tassi di vaccinazione sono in media del 30%.
A più di 700.000 bambini non sarebbe stato somministrato alcun tipo di vaccinazione. In tutti gli Stati del Sudan (18) sono in corso epidemie, in particolare di colera, con più di 51.000 casi segnalati in 11 Stati al 18 gennaio 2025.
Attacchi contro le strutture sanitarie e contro MSF
Medici Senza Frontiere è presente in Sudan dal 1979. La priorità dei suoi interventi nel 2024 è stata la risposta alle epidemie e alla malnutrizione.
Le équipe di MSF hanno subìto circa 60 episodi di violenza da parte di SAF ed RSF: da attacchi alle strutture sanitarie al saccheggio delle forniture mediche, fino ad aggressioni con armi da fuoco all’interno delle stesse strutture.
Gli operatori di MSF hanno subìto minacce, molestie, aggressioni, detenzioni prolungate, false accuse di favoreggiamento da entrambe le parti in conflitto. Più in generale sono stati registrati 519 attacchi a strutture sanitarie dall’inizio del conflitto fino a novembre 2024.
Almeno 119 operatori sanitari sono stati uccisi, 87 feriti e 65 arrestati.
Fondi per gli aiuti umanitari insufficienti
Già prima dei tagli preannunciati dalla nuova amministrazione americana ai fondi per gli aiuti umanitari, si faticava a reperire le risorse necessarie per far fronte agli immensi bisogni del Paese.
Il “Piano di risposta ai bisogni umanitari” per il 2024 indicava come obiettivo 2,7 miliardi di dollari per l’assistenza di 14,7 milioni di persone: al 21 dicembre ne erano stati raccolti solo 1,7 miliardi.
Il Piano per il 2025 prevede 4,2 miliardi di dollari per aiuti salvavita a quasi 21 milioni di persone: al 31 marzo 2025 era stato finanziato solo per il 10% e col taglio dei fondi deciso dagli Stati Uniti – uno dei maggiori donatori del 2024 insieme ad Arabia Saudita, Germania e Francia – l’obiettivo risulta largamente irrealizzabile.
Rifugiati sudanesi in Italia
Per raggiungere l’Italia e l’Europa, i rifugiati provenienti dal Sudan devono sottoporsi ai rischi della rotta del “Mediterraneo Centrale”. A fronte degli 11 milioni e mezzo di sfollati interni e dei 4 milioni di persone fuggite negli Stati confinanti, tra il 2023 e il 2024 sono sbarcati sulle coste italiane meno di 8.000 sudanesi.
Violazioni del Diritto Internazionale Umanitario
Il Sudan ha aderito alle quattro Convenzioni di Ginevra del 1949 e ai due Protocolli aggiuntivi del 1977 e ha firmato, ma non ratificato, lo Statuto di Roma della Corte penale internazionale.
Le ostilità in corso si connotano come un “conflitto armato non internazionale” e dunque le norme del Diritto Internazionale Umanitario (DIU) sono applicabili e vincolanti per tutte le parti in conflitto.
Sia SAF che RSF hanno intenzionalmente ostacolato l’ingresso e la circolazione degli aiuti umanitari nel Paese.
Il rilascio dei visti per il personale umanitario e le procedure per l’importazione di medicinali e altre forniture subiscono rallentamenti, ma le violazioni più gravi riguardano i dinieghi di attraversamento delle linee del fronte interno (cross-line) e dei confini con gli Stati confinanti (cross-border).
Secondo il DIU, il governo è obbligato a consentire e facilitare il passaggio rapido e senza ostacoli dei soccorsi umanitari (norma 56 del DIU consuetudinario), obbligo stringente alla luce della drammatica crisi nutrizionale in corso.
Le Nazioni Unite oppongono a tale norma – in particolare riguardo l’obbligo del cross-border – il diritto legittimo del Sudan a difendere la propria integrità territoriale.
Vengono utilizzati due diversi corpi legislativi. MSF fa riferimento al DIU, il quale sancisce che l’accesso degli aiuti umanitari è obbligatorio e deve essere consentito senza riserve dalle parti in conflitto; le Nazioni Unite sostengono il principio della sovranità nazionale e appoggiano le decisioni del governo sudanese in merito all’autorizzazione o non autorizzazione dei passaggi transfrontalieri degli aiuti. Nel 1991, l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha adottato la risoluzione n. 46/182, una sorta di propria Carta dei principi per gli interventi umanitari, nella quale la sovranità dello Stato è indicata come principio chiave. Dunque, le Nazioni Unite usano la propria Carta che parla di sovranità nazionale, mentre noi utilizziamo il diritto dei conflitti armati che non parla di sovranità nazionale, perché in una situazione di conflitto armato interno lo Stato non controlla tutto il suo territorio. È evidente che non parliamo la stessa lingua”. Françoise Bouchet-Saulnier, MSF
Assenza degli attori umanitari: la solitudine di MSF
Il rispetto dei blocchi imposti dalle autorità sudanesi da parte delle Nazioni Unite e delle organizzazioni umanitarie che operano sotto il loro ombrello, le oggettive condizioni di insicurezza dovute al conflitto in corso, nonché le difficoltà logistiche di spostamento, fanno sì che nelle regioni più direttamente interessate dal conflitto la presenza di attori umanitari internazionali sia assai limitata: in molti luoghi MSF si ritrova a operare in solitudine, in un assoluto deserto umanitario.
MSF è stata concepita per avere una competenza specifica nell’assistenza medica, soprattutto quella di secondo livello, basandosi sul fatto che gli altri servizi dovrebbero essere forniti da altri attori. Se nessuno si occupa dell’acqua, dei ripari e del cibo, allora curare le persone negli ospedali non è un modo sostenibile di affrontare una crisi. Non ha senso creare nuovi centri nutrizionali se manca del tutto il cibo tra la popolazione: ma se MSF dovesse occuparsi anche della distribuzione alimentare, metà del nostro budget verrebbe assorbita, senza contare che le nostre competenze in quest’ambito sono limitate, non essendo questa la nostra specializzazione. Ecco perché, oggi, gran parte dell’attività di advocacy di MSF in Sudan è fortemente critica nei confronti delle Nazioni Unite e delle altre organizzazioni, perché a due anni dall’inizio del conflitto non si vedono da nessuna parte”.Michiel Hofman, MSF
Audizione di MSF al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite
Il 13 marzo 2025, il segretario generale di MSF, Christopher Lockyear, è intervenuto al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite sulla crisi in Sudan, chiedendo la fine delle violenze contro i civili e un rinnovato impegno per far fronte alle necessità umanitarie.
Mentre in questa sede si sprecano dichiarazioni, i civili rimangono senza protezione, sono bombardati, stuprati, sfollati, privati di cibo, cure mediche e dignità. La risposta umanitaria vacilla, paralizzata dalla burocrazia e dai dubbi, in quello che rischia di diventare il più grande disinvestimento negli aiuti umanitari della storia”.