Testimonianza di Parwez, 15 anni, dall’Afghanistan raccolta dal nostro team a Belgrado in Serbia:
Vengo da Nangarhar, in Afghanistan. Sto viaggiando con mio cugino – siamo solo noi due ora. Ho 15 anni e mio cugino 16. Anche mio padre era con noi, ma lo abbiamo perso lungo la strada, nella foresta al confine tra Iran e Turchia. La polizia ci ha sparato addosso siamo fuggiti e ora non so dove sia finito mio padre. In seguito ci siamo spostati in Bulgaria e in Serbia.
Mio padre mi ha sempre detto: “Devi essere forte, perché il cammino che stiamo per intraprendere è molto duro. La tua vita è in pericolo, devi lasciare l’Afghanistan”.
Siamo qui a Belgrado da circa due settimane. Dormiamo nella sala di una vecchia stazione ferroviaria. Non è un buon posto, è pieno di fumo. Non c’è acqua potabile. Alle 13:00 vengono da noi i volontari e ci portano da mangiare.
Mio padre lavorava per il governo. Prima di partire, mi ha detto: “Non c’è pace qui, c’è solo guerra, è per questo che dobbiamo andare via”.
In passato mio padre è stato in Francia per il suo lavoro. Quando siamo partiti, speravo che saremmo andati in Francia e che lì non ci sarebbe stata la guerra.
Mi sento di non avere alcuna possibilità. Ho detto alle autorità che vorrei andare in uno dei campi per migranti. Mi hanno detto che posso andare in un campo chiuso, ma io non voglio vivere così. Mi piacerebbe andare in un campo da cui si può uscire.
Il modo in cui veniamo trattati mi fa stare davvero male. Non mi piacciono i politici – è a causa dei politici che siamo bloccati qui.
In Bulgaria la situazione non era affatto buona. La polizia è arrivata e mi hanno picchiato. Qui in Serbia, molte organizzazioni ci stanno aiutando. Ma fa troppo freddo.
La mia famiglia è ancora in Afghanistan. A volte parlo con loro al telefono.
Sono molto triste ora perché mia madre non è qui, non ho la mia famiglia, non è una bella vita. Piango sempre di notte. Nel sonno chiedo di continuo a mio cugino: “Dov’è mia madre, dov’è mio padre, dov’è la mia famiglia?”