Il modo in cui mi piace inquadrare i principi umanitari è che questi, de facto, costituiscono la cornice morale entro cui le organizzazioni umanitarie decidono di operare.
ll cuore è rappresentato dal principio di imparzialità: la nostra scelta su chi beneficerà delle nostre risorse si basa puramente sui bisogni, non su ragioni politiche e religiose, né su alcun tipo di motivazione militare; sono solo le persone con i bisogni maggiori e più urgenti a beneficiare delle nostre risorse.
Gli altri due principi a cui MSF si ispira maggiormente, l’indipendenza e la neutralità, sono strumenti che consentono di mettere in pratica quello dell’imparzialità. L’indipendenza garantisce che le nostre scelte siano basate sui bisogni e che altre forze e poteri non influenzino le nostre decisioni.
La neutralità, nel contesto umanitario, serve a convincere le parti in conflitto a garantirci l’accesso alle popolazioni colpite, con il nostro impegno a non sostenere in alcun modo le operazioni militari delle rispettive controparti. Spesso la neutralità umanitaria viene confusa con la neutralità giornalistica, che implica la necessità di dare ascolto e voce a entrambe le parti in causa, ad avere una comunicazione pubblica equilibrata sul conflitto. Ma questa non ha nulla a che fare con la neutralità umanitaria, che è un principio puramente pratico, fondato sull’impegno a non prendere parte alle ostilità. La neutralità umanitaria non ha nemmeno nulla a che fare con una distribuzione equilibrata delle risorse. L’interpretazione errata più diffusa è che la neutralità ci obblighi a lavorare per entrambe le parti in conflitto. Ma non è così. Se i bisogni sono concentrati solo in una parte, la decisione etica in base al principio di imparzialità sarà di destinare tutte le risorse disponibili solo a quella parte. Gaza è un esempio evidente, perché è ovvio che quasi tutte le necessità mediche e umanitarie sono tra la popolazione palestinese.
Rispetto dei principi umanitari nei conflitti contemporanei
I principi umanitari sono stati concepiti per consentire agli attori umanitari di operare e sono sempre stati contestati da coloro che detengono il potere, perché li obbligano a fare delle concessioni. Se si dice di voler essere imparziali, significa che si sceglie come destinatari dell’intervento le popolazioni con i bisogni maggiori e più urgenti: non sempre queste sono dalla parte di chi detiene il potere, che sia l’autorità statale o gruppi armati non statali. Quindi, c’è una tensione costante tra gli obiettivi degli attori umanitari, che cercano di agire in un quadro morale basato esclusivamente sui bisogni, e gli organismi statali che fondano le proprie decisioni su considerazioni politiche o di altro tipo. Lo stesso conflitto etico si manifesta anche con i militari: il loro obiettivo prioritario è di vincere la guerra, quindi, dal loro punto di vista, bombardare gli ospedali può essere considerata un’azione assolutamente lecita.
Ciò che sta accadendo a Gaza non è un unicum: sono le stesse motivazioni utilizzate dal vecchio governo siriano negli ultimi quattordici anni per legittimare gli attacchi agli ospedali; lo abbiamo visto in Yemen; lo abbiamo visto in Afghanistan, quando l’esercito statunitense ha bombardato l’ospedale di MSF a Kunduz. I conflitti in corso a Gaza e in Ucraina, così come in Sudan e in Myanmar, mostrano certamente la volontà degli Stati di non rispettare i principi umanitari per le stesse ragioni per cui hanno sempre cercato di non rispettarli. Oggi, però, sembrano sentirsi molto più liberi di farlo. Stiamo tornando a una fase in cui la validità di questi principi non è più universalmente accettata dagli Stati né dai gruppi armati non statali. In passato, la loro adozione era spesso il risultato di pressioni politiche internazionali: oggi, tali pressioni appaiono notevolmente indebolite.
Il sistema degli aiuti umanitari
Nel sistema degli aiuti umanitari ci sono stati negli ultimi vent’anni due processi di cambiamento.
Il primo è legato a quello che io definisco il “sistema tradizionale di aiuti umanitari”, costituito per lo più da donatori occidentali o del Nord globale che canalizzano i fondi attraverso le Nazioni Unite o organizzazioni umanitarie basate principalmente in Nord America e in Europa. Questo sistema, fortemente influenzato da un ordine mondiale unipolare, in cui i Paesi donatori esercitavano la massima influenza sui Paesi beneficiari riguardo l’ingresso e l’intervento umanitario incondizionato da parte delle Nazioni Unite e delle altre organizzazioni, si è progressivamente distaccato dalla realtà politica. La trasformazione in un mondo multipolare, in cui non c’è più una sola potenza militare, politica o economica, ha reso gli Stati destinatari degli aiuti molto più autonomi nelle loro scelte riguardo a chi consentire l’accesso per fornire gli aiuti.
La reazione del sistema tradizionale a questo cambiamento è stata quella di localizzare in larga misura la risposta umanitaria e di spostare il processo decisionale dalle organizzazioni indipendenti a organismi di coordinamento guidati in larga misura dai governi statali. Questo approccio presenta chiaramente enormi criticità, soprattutto nei conflitti interni, perché lo Stato che coordina gli aiuti è anche una delle parti in conflitto che ha interesse a privare l’altra parte dell’assistenza. In Nigeria, già da anni il governo ha bloccato di fatto qualsiasi forma di assistenza nelle aree controllate da Boko Haram. L’anno scorso abbiamo assistito a una situazione estrema in Sudan dove il governo, pur controllando meno della metà del territorio del Paese, ha bloccato qualsiasi tipo di assistenza nelle zone controllate dall’opposizione. MSF in questi luoghi si trova a operare in condizioni di isolamento, perché le Nazioni Unite e la maggior parte delle altre organizzazioni ancora finanziate dai donatori occidentali, devono adeguarsi a queste scelte politiche.
La seconda novità è che i nuovi blocchi di potere – Cina, India, Russia, Turchia, Stati del Golfo, in Asia la Malesia – hanno iniziato a comprendere come gli aiuti umanitari possano rivelarsi uno strumento potente (soft power) al servizio dei propri interessi politici, economici e talvolta militari. Si assiste, così, a una proliferazione non solo di donatori alternativi, ma anche di organizzazioni a essi collegate. Oggi, in molti contesti, la maggior parte degli aiuti internazionali non proviene dalle organizzazioni occidentali, ma da organizzazioni turche, qatariote, russe, cinesi. Si tratta di sistemi di aiuto paralleli rispetto ai quali il sistema tradizionale si dimostra cieco.