Marco Puzzolo

Marco Puzzolo

Capo progetto MSF

Cosa vuol dire Essere Umani

Marco Puzzolo

Marco Puzzolo

Capo progetto MSF
Cosa vuol dire Essere Umani

Quella di marzo 2019 è la mia prima visita al campo di rifugiati e sfollati interni di Al-Hol.

Il campo esiste sin dagli anni ’90 a causa della Prima Guerra del Golfo, ma nelle ultime settimane è cresciuto a dismisura. Da poche migliaia di persone a circa 80,000. Una città. Di fatto più o meno la stessa popolazione della città dove sono nato e cresciuto.

Nelle ultime settimane, l’offensiva delle forze curde e degli Stati Uniti contro gli ultimi presidi dell’ISIS nell’area di Baghouz, in Siria nordorientale, hanno causato lo sfollamento di migliaia di persone. Al momento di arrendersi e lasciare le zone dei combattimenti, gli uomini vengono separati da donne e bambini. I primi, sospetti terroristi, vengono direttamente detenuti; i secondi, trasferiti in lunghe carovane di camion al campo di Al-Hol.

Ferite: questo ricordo di quel giorno. Ferite quasi ovunque mi voltassi.

In ogni famiglia almeno una persona, spesso bambini, con una ferita di guerra – un arto fratturato, un’escoriazione, una fasciatura. È difficile descrivere tanta sofferenza usando parole appropriate e per di più non essendo uno scrittore, non proverò a farlo. Mi limiterò a portarvi le immagini che riaffiorano alla memoria.

Mi trovo nella clinica che MSF ha costruito nel giro di pochi giorni in uno dei nuovi settori del campo. Container in mezzo a un mare di tende. Un bambino con un braccio rotto, accompagnato dal suo fratellino. Un altro ragazzino su una sedia a rotelle ha perso entrambe le gambe; mi racconta che si chiama Zakarias e viene da Aleppo – una città dalla parte opposta della Siria.

Mi chiedo come sia finito lì. Chissà. In effetti, come lui tanti bambini sono arrivati nell’area insieme alle loro famiglie da varie parti della Siria. Anzi del mondo.

Me lo ricorda una bambina che sembra africana o forse caraibica. La incontro in una tenda ‘collettiva’, ovvero una tenda più grande destinata a ospitare più di un nucleo familiare, solitamente gli ultimi arrivati, prima che venga loro assegnata una tenda ‘singola’. La bambina ci guarda da lontano, si trova in un angolo nella tenda con la sua famiglia che sta cercando di cucinare qualcosa. Ha la testa fasciata, mi dà l’impressione che serva di supporto; forse per una ferita alla mandibola.

Mi sposto al centro di nutrizione intensiva di MSF. I bambini con le loro mamme, piccolissimi, indifesi e logorati dalla fame; una bambina, un po’ più grande, tremolante, mi dicono una reazione nervosa dovuta alla presenza di schegge di proiettili all’interno del cranio.

Sui corpi e sulla mente

Un inferno sulla Terra. Un posto dimenticato. Surreale. Migliaia di civili, quasi interamente donne e bambini, di più di 70 nazionalità diverse, ex-cittadini dell’ISIS. In un posto del genere i concetti di vittima e perpetratore acquistano un significato inedito, si sovrappongono, sono oggetto di dibattito. Adesso sono sfollati, sono feriti, ma prima facevano parte del Gruppo dello Stato Islamico; lo hanno scelto? Possono essere considerati vittime? Un discorso troppo complesso e delicato per essere esaurito con risposte banali lunghe un paio di frasi.

Quello che però non si può discutere sono le ferite. Le ferite sui corpi e sulla mente. Il dolore. La sofferenza. Quello che ci rende Umani. Ferite ne ho viste tante quel giorno, ma altrettante o ancora di più non le ho potute vedere durante la mia missione in Siria, perché semplicemente non si può. Sono dentro le persone. Sono le storie, i lutti, le perdite di persone amate, le ferite dell’anima.

Solo alcune le ho potute ascoltare dalle voci dei colleghi curdi siriani. Alcuni di loro, originari di Raqqa, vivevano lì quando era capitale dell’ISIS. Ognuno in qualche modo colpito dalla guerra e dall’ISIS stesso.

Ma anche loro, nonostante questo, erano pronti ad aiutare, curare, e ricordarci cosa vuol dire Essere Umani. Anche loro sono parte della squadra di MSF, che anche questa volta ha scelto di esserci, per aiutare tutti senza distinzione, per preservare la vita umana a prescindere da qualsiasi altra cosa.