Il primo paziente affetto da Covid-19 è stato confermato in Libia il 25 marzo, ma da allora la pandemia non ha provocato né ondate di pazienti colpiti da difficoltà respiratorie nei reparti ospedalieri, né un improvviso aumento della mortalità nei centri di detenzione ancora attivi in tutto il paese, dove centinaia di migranti, richiedenti asilo e rifugiati vivono in condizioni disastrose.
La richiesta di un cessate il fuoco per consentire una preparazione adeguata al Covid-19 e la pianificazione della risposta sono rimaste inascoltate dalle parti in conflitto. Al contrario, a Tripoli e dintorni, i combattimenti si sono intensificati, con attacchi indiscriminati e mortali alle aree residenziali e alle strutture sanitarie.
Come capomissione MSF in Libia, sto vedendo come la pandemia, o piuttosto la risposta ad essa, abbia peggiorato le difficoltà quotidiane della popolazione e aggravato la condizione dei migranti bloccati nel paese.
Prima del Covid-19, i vincoli politici, le sfide per la sicurezza e la scarsità di personale internazionale sul campo, concentrato principalmente a Tripoli, significavano già il fallimento dei programmi umanitari di assistenza e protezione dei migranti in Libia, anche quando adeguatamente finanziati. La situazione attuale è ulteriormente peggiorata e ha messo in luce i difetti della risposta delle agenzie internazionali sul futuro delle persone bloccate in Libia.
Un nuovo picco di disperazione
Per circa 1.500 persone attualmente presenti nei centri di detenzione gestiti dal Dipartimento per combattere l’immigrazione illegale (DCIM), la disperazione sta raggiungendo nuovamente il picco.
L’arresto dei voli umanitari dell’UNHCR e dei servizi di rimpatrio dell’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (OIM) sulla scia delle restrizioni ai viaggi legate a Covid-19, sta distruggendo la loro unica speranza di trovare una via d’uscita da un ciclo di abusi e violenza.
Nelle settimane successive ai primi casi di coronavirus nel paese, il conseguente aumento dei prezzi e la carenza di prodotti alimentari di base, oltre al coprifuoco, hanno causato preoccupazioni crescenti sull’approvvigionamento di cibo nei centri di detenzione in cui forniamo assistenza medica e supporto psicologico.
Nonostante ciò, il WFP ha deciso finora di non consegnare cibo direttamente nei centri di detenzione, poiché ciò violerebbe la sua opposizione alla detenzione arbitraria.
La tendenza generale degli attori umanitari internazionali è quella di adottare un approccio di principio sulla detenzione. Fermo restando che la detenzione arbitraria e disastrosa di migranti e rifugiati in Libia non è giustificabile, dobbiamo anche riconoscere che gli sforzi per attuare alternative non stanno andando da nessuna parte.
Ora più che mai non è il momento di abbandonare al loro destino le persone intrappolate nei centri di detenzione in Libia.
Da più di tre anni sappiamo quanto sia importante garantire una presenza fisica e regolare nei centri di detenzione, non solo per migliorare le condizioni di vita ed effettuare visite mediche, ma anche per raggiungere uomini, donne e bambini rinchiusi per un tempo indefinito, difenderli con azioni di advocacy e testimoniare la disumanità della loro situazione.
Tuttavia, la maggior parte dei migranti e rifugiati in Libia non si trovano nei centri di detenzione gestiti dal DCIM. La stragrande maggioranza, comprese le persone rilasciate o uscite dai centri negli ultimi mesi, vive nelle principali città libiche.
Sono esposti a minacce di arresto e detenzioni arbitrarie, rapine, rapimenti e abusi. Sebbene l’istituzione precoce di misure preventive come coprifuoco, blocchi e chiusure delle frontiere abbia probabilmente contribuito a contenere la diffusione del Covid-19 in Libia, questi provvedimenti hanno ulteriormente sconvolto un’economia già fragile.
Soprattutto, hanno ridotto significativamente le opportunità di accesso al lavoro quotidiano e ad altre attività generatrici di reddito per i migranti. A causa dell’aumento dei prezzi dei prodotti alimentari, che la Libia importa insieme ad altri beni essenziali come i prodotti per l’igienei, la situazione è disperata: le équipe di MSF ricevono un numero senza precedenti di chiamate da parte dei migranti, spesso ex pazienti in centri di detenzione, ora lasciati senza cibo e incapaci di pagare l’affitto a Tripoli.
Le attuali restrizioni ai movimenti alimentano ulteriormente la loro paura di essere arrestati o rapiti in caso dovessero uscire.
Il sostegno fornito dalle agenzie internazionali a migranti e rifugiati in contesti urbani al di fuori dei centri di detenzione, consiste principalmente in un pacchetto di aiuti una tantum, che includono distribuzioni anche di denaro contante, ora rese difficili a causa di problemi di sicurezza e di accesso in una città in guerra.
Progettato in parte per compensare la chiusura del Centro di raccolta e partenza (GDF) dell’UNHCR a Tripoli (lo scorso gennaio) e per accompagnare i rifugiati e i migranti rilasciati dai centri di detenzione, l’approccio urbano tanto celebrato dalle agenzie delle Nazioni Unite non è mai stato adeguato in assenza di servizi significativi di protezione e tutela. Questo si basa sul sostegno delle comunità di migranti che lottano già per sopravvivere.
Sebbene limitate, le evacuazioni organizzate dall’UNHCR sono state l’unica misura di protezione efficace a beneficio di una piccola parte dei rifugiati bloccati. Non hanno altra alternativa alla fuga che le pericolose traversate in mare.
Mentre le ambulanze continuano a trasportare i malati e i feriti in pronto soccorso nonostante le politiche di blocco della sanità pubblica e vengono mantenuti solo i servizi essenziali, i voli di evacuazione dalla Libia dovrebbero continuare a funzionare come un’ancora di salvataggio. All’arrivo in paesi terzi sicuri, si possono applicare misure preventive, come la quarantena, per evitare di contribuire alla diffusione del Covid-19.
Anche prima della pandemia, diplomatici e rappresentanti delle Nazioni Unite sostenevano che potevano fare ben poco per proteggere ed aiutare migranti e rifugiati, nonostante l’UE abbia mobilitato oltre 500 milioni di euro per progetti relativi alla migrazione in Libia dalla fine del 2015, in gran parte canalizzati attraverso agenzie delle Nazioni Unite e in linea con anni di politiche volte a tenere ad ogni costo lontani dall’Europa migranti e rifugiati indesiderati.
La situazione richiede un cambiamento radicale: la protezione dei migranti e dei rifugiati intrappolati in Libia deve diventare una priorità internazionale. Il virus Covid-19 è una minaccia reale ed effettiva, ma la risposta non può essere peggiore della malattia.