Mentre in Italia la curva dei contagi aveva iniziato ad appiattirsi e avevamo superato la fase 2 con successo, all’inizio di giugno 2020 cominciavano ad arrivare notizie sconcertanti dall’America Latina, specialmente dal Brasile e dal Perù.
Io stessa avevo letto del grosso numero di contagi di Covid-19 riportati in Amazzonia e di come questo stesse mettendo a repentaglio l’esistenza di intere comunità. È stato proprio mentre leggevo di queste notizie che MSF mi ha proposto di unirmi a una missione di emergenza nell’Amazzonia peruviana che sarebbe iniziata da lì a breve.
Quando si parte per una missione in così poco tempo le emozioni che si mettono in moto si mischiano alle cose da fare e il tempo per pensare è proprio poco: vaccini, briefings, email che arrivano piene di documenti da stampare e da leggere, ultimi acquisti, cose da risolvere prima della partenza, saluti. Mi ricordo di aver pensato: ’mi riposerò in aereo’.
Le conseguenze della pandemia sulle comunità indigene
Il Perù aveva dichiarato stato di emergenza a causa della pandemia, pertanto io e i miei colleghi siamo atterrati tutti a Manaus, in Brasile; avremmo poi iniziato un lungo viaggio con ogni mezzo verso il Perù.
Piccoli aerei, barche a remi, barche a motore passando per piccole città di confine famose per essere il crocevia di traversate legali e non tra Brasile, Perù e Colombia, seguite da un lungo tragitto in barca fino a Iquitos. Poi ancora un altro areo minuscolo e traballante fino a San Lorenzo, una città in cui avremmo stabilito la nostra base per lavorare con le comunità indigene nella regione di Datem del Marañon.
Nella risposta globale alla pandemia MSF sta rispondendo in 70 paesi dove spesso già lavora su altri temi come HIV e malnutrizione, per citarne alcuni.
Qui invece ci siamo arrivati per vedere da vicino le conseguenze della pandemia sulle comunità indigene in una frazione dell’Amazzonia peruviana e agire in tempi stretti. Siamo stati fieri di aver fatto parte di un piccolo team di esperti che in poco tempo è stato in grado di valutare l’emergenza e rispondere con mezzi adeguati ed efficaci.
Siamo stati gli unici a raggiungere villaggi remoti con mezzi di fortuna, interagendo con le comunità il più possibile per collaborare e far capire la nostra totale estraneità alla politica e ai governi.
Una volta fatta la valutazione iniziale l’intervento ha preso la forma di una formazione in classe al personale sanitario e ai membri della comunità responsabili della prevenzione sul tema del Covid-19.
Le visite che sono susseguite hanno poi avuto lo scopo di implementare i contenuti del corso e rispondere insieme ai dubbi e alle sfide alla pandemia sul posto. Siamo stati in piccoli villaggi di capanne senza corrente elettrica né acqua potabile dove le condizioni igieniche erano una sfida non solo per il Covid-19 ma anche per tante altre malattie.
Il materiale che abbiamo donato andando via ha preso conto di tutte le sfide quotidiane con cui le comunità devono lottare ogni giorno, dalla malaria ai problemi respiratori con l’intenzione di avere il maggiore impatto possibile.
Salutare una comunità dove forse non si andrà mai più è sempre piuttosto doloroso. Ci si chiede se sarebbe stato possibile fare di più, indipendentemente dalla durata dell’intervento. Credo che sia un dilemma umanitario che proviamo tutti in questa professione.
Poi invece mi ricordo che in questa parte dell’Amazzonia peruviana c’eravamo solo noi e senza MSF e i suoi donatori nessuno avrebbe mai raggiunto questi luoghi durante la pandemia.