La febbre – e la tosse – dell’oro

“Un ragazzo chiede la mano alla sua bella, un anello scintilla sotto le luci della Tour Eiffel.

Un tecnico ripara i connettori di uno smartphone riciclato che sarà rivenduto per poche centinaia di real in una favela brasiliana.

Un investitore giapponese assicura i propri dividendi in dieci luccicanti lingotti “Good Delivery” presso una banca svizzera. 

Badeaux K*, 24 anni, spinge un grosso sacco di plastica su una bicicletta infangata, arrancando e tossendo lungo la strada che collega Misisi al resto del mondo.  

Cosa unisce questi volti, queste realtà all’apparenza tanto distanti? L’oro, “zahabu”, in kiswahili, posto n. 79 nella tavola periodica, posto n. 1 nei pensieri e nelle brame inaspettatamente connesse tra i primi e gli ultimi del mondo. L’oro che permette ai nostri gioielli 24 carati di splendere di vita propria e di durare millenni, che garantisce ponti elettrici minuscoli e veloci, che permette di condensare 570.000 dollari in pezzi da 12 kg. Le prime tre storie sono state raccontate all’infinito. Oggi raccontiamo l’ultima, almeno per una volta, quella di Badeaux da Misisi, nella Provincia del Sud Kivu (Repubblica Democratica del Congo,) uno dei pazienti più difficili da mantenere in terapia.  

Badeaux è un ragazzo alto, smagrito dalla malattia, ma i suoi tratti non dimenticano i muscoli che in potenza gonfiavano le tute con cui ogni giorno si recava presso le miniere sulle colline di Kachanga. Oggi Badeaux non può più lavorare in miniera, i suoi polmoni non glielo permettono. La malattia che stringe il petto di Badeaux, e di altri 10,4 milioni di persone ogni anno nel mondo (dati 2015) si chiama tubercolosi. Con un carico di 1,4 milioni di morti, cui si aggiungono 0.4 milioni tra le persone malate di HIV (prima causa di decesso tra i pazienti sieropositivi), la TB nel 2015 ha riconquistato il macabro primato di malattia infettiva più mortale al mondo.

Oggi, 24 marzo, si celebra la Giornata mondiale della lotta contro la tubercolosi. Conoscere il filo rosso che lega Badeaux a una coppia di futuri sposi, a uno smartphone brasiliano e a un investitore giapponese probabilmente non gli ridarà i suoi polmoni, ma, supportandolo nella lotta per migliorare le condizioni di vita e lavoro di una delle categorie più a rischio di TB a livello mondiale, darà un po’ di fiato alla sua dignità.

Tubercolosi e miniere

Tubercolosi e miniere in Africa sembrano andare particolarmente d’accordol’incidenza di TB tra i minatori africani è spaventosamente più alta rispetto a quella nella popolazione generale, e probabilmente la più alta in assoluto.

I perché sono tanti. Le polveri derivate dal lavorio delle pietre erodono e indeboliscono i polmoni e il sistema immunitario, favorendo la TB. Altra causa sono gli spazi claustrofobici e non aerati in cui sono costretti a lavorare i minatori e le non meno claustrofobiche baracche-dormitori. Si può far riferimento allo spettro dell’HIV, che colpisce a randellate contesti come quello di Misisi (prevalenza di HIV pari a 8%, nel resto della Repubblica Democractica del Congo inferiore al 2%), e favorisce la TB.

Ma queste sono solo le concause. Le vere cause della TB sono la povertà, la diseguaglianza sociale e la mancanza di diritti. Terzomondismo? Ideologia? Non proprio, più che altro epidemiologia.

Misisi, un villaggio western

Misisi, posto terribile e incredibile, è come un villaggio western ma è reale e contemporanea: minatori, avventurieri, prostitute, sfruttatori, oro, saloon, alcol a fiumi, armi, ladri, sceriffi e merci, merci, merci. Tutti ti dicono che puoi avere quello che vuoi a Misisi. Tutto è in vendita, tutti sono possibili acquirenti e tutti sono in vendita, come corpi, come forza lavoro.

Le land cruiser dalla lunga antenna battenti bandiera MSF percorrono continuamente le vallate della regione; spesso fanno da ambulanza proprio per i minatori più piegati dalla TB, bisognosi di ossigeno presso il vicino ospedale di Lulimba.

La spesa sanitaria pro-capite della RDC è tra le più basse al mondo: 25-30 dollari l’anno (metà della media africana; quella italiana è di 3200$ l’anno). Le epidemie di malaria, colera e morbillo si susseguono e si sovrappongono con l’alternanza del secco e delle piogge. TB, HIV e malnutrizione lavorano sul fondo, incessanti.

Badeaux, il minatore

Badeaux faceva il minatore. La sua storia è quella di tanti suoi amici colleghi fratelli: due anni fa si presenta presso il centro HIV/TB di MSF a Misisi: viene testato anche per l’HIV e risulta positivo. Per il medico di MSF è l’ennesimo caso di co-infezione HIV/TB, per Badeaux un carico di farmaci insopportabile, che non gli permette di lavorare e vivere normalmente. Segue la terapia per la TB saltuariamente, rifiuta il proprio status HIV e i farmaci antiretrovirali, deve tornare a lavorare in miniera. Ma le sue condizioni peggiorano e gli occhi gli si iniettano di ittero: la terapia antitubercolare mostra la sua tossicità e allora Badeaux smette di prenderla. Passa qualche mese di fatica, poche migliaia di franchi congolesi strappati alle rocce, e tosse e sangue e sudate che non lasciano dormire e brividi che scuotono le ossa.

La cura

Badeaux perde peso a vista d’occhio, si ammala di nuovo di TB. Torna stremato presso il centro HIV/T B di MSF di Misisi, questa volta ascolta bene i consigli del medico: comprende che se non si cura adeguatamente e non affronta anche l’HIV non riuscirà a tenere lontana la bestia della TB, con difficoltà e sostegno psicologico accetta di cominciare la terapia antiretrovirale. E ce la fa. Nel mese di marzo 2017 eseguirà il primo controllo della carica virale per valutare l’efficacia della terapia. La TB non lo squassa più con tosse e brividi, ma i polmoni sono ormai irrigiditi dalla fibrosi e non funzionano più al cento per cento (in realtà neanche al 60%): tornare a lavorare in miniera significherebbe morirci dentro, per cui investe trentamila franchi congolesi per comprare una bici, ficca due bastoni di legno dietro la sella e comincia a trasportare i pesanti sacchi di pietre e polvere in cui la speranza e la fame fanno immaginare l’oro.

Che fare?

Individuare i soggetti malati e somministrare loro la terapia più adeguata. Trattare i soggetti co-infetti con l’HIV e i soggetti affetti da MDR-TB. Cose da medici, insomma, e su queste azioni si concentra ogni giorno il lavoro del Progetto Kimbi di MSF.  I medici, per quanto senza frontiere, questo possono fare: cercare di combattere le malattie, curare i malati, testimoniare la loro sofferenza. Ma le malattie-madri, la povertà e la diseguaglianza, richiedono uno sforzo comune.”   

Nicola, medico MSF in Sud Kivu