Oussama Omrane

Oussama Omrane

Promotori della salute/Antropologi MSF
La madre di tutte le ferite

Le ferite si dividono in due categorie: quelle visibili e quelle invisibili.

Qualcuno potrà dire che quella che sanguina brucia di più, ma credetemi, quelle invisibili sono le peggiori. Come operatore umanitario di Medici Senza Frontiere ho visto, vissuto e condiviso ferite che non posso dimenticare, coltellate che pugnalano il nostro essere e la nostra umanità.

Anche se a distanza di anni, come posso scordare gli occhi lucidi di Passirou mentre mi descrive la morte atroce del fratello? Come posso dimenticare la morte di un bambino siriano di 4 anni, scelto in sacrificio dalle acque gelide di Lesbo in una piovosa e fredda giornata di gennaio di 5 anni fa?

Non si rimargina la ferita aperta provocata dalle urla strazianti di una madre i cui due figli, ancora piccolissimi, sono stati inghiottiti dal Mar Mediterraneo. O quella della morte di una giovane donna incinta, nonostante gli sforzi interminabili fatti nella nostra clinica a bordo della Dignity I! Una ferita profonda, marcata dalla sottilissima linea che divide la vita dalla morte.

Il 22 ottobre 2016 feci un viaggio nei polmoni dell’inferno: è questa, forse, la mia ferita più profonda. Gli occhi si bagnano e il cuore mi sanguina quando ne parlo. Per me la tragedia più grande è quella vissuta nel nostro Mar Mediterraneo: corpi senza vita che galleggiano dentro i resti di un gommone sprofondato e tra questi il corpicino di un bambino di meno di un anno.

Forse è proprio questo sentimento di ingiustizia la madre di tutte le nostre ferite. La nostra umanità si ferisce da sola e combatte contro il suo demonio interiore per rimanere a galla.

Ognuno di noi, al rientro da una missione, ha ricordi indelebili di gioia e tristezza, ma alla fine ciò che rimane sono sempre quei momenti di vittoria sul terreno, ben visibili sui volti di chi aiutiamo.