– No, cioè, sul serio, il portone del posto dove stai è murato e per entrare devi arrampicarti fino al balcone del primo piano?
– Sì – John ride.
– E come ci arrivi fin lassù?
– Usando il cavo della luce appeso. Vieni a vedere se non ci credi.
– Manco per sogno. Soffro di vertigini, io.
John viene dal Gambia. Aspetta l’esito del ricorso contro il rigetto della domanda di asilo a San Berillo. Mentre parla, rifà l’orlo a un paio di pantaloni con una macchina da cucire Singer. In strada, lui, la Singer, sedia e tavolino. Anche l’altra persona, quello dei pantaloni, è in strada. Senza pantaloni, che sono appunto sotto la Singer.
– Me l’ha data il proprietario italiano della falegnameria di fronte. A lui non serviva. A me serve per non fare l’elemosina.
I volontari salutano tutti quelli che passano per i vicoli stretti. A uno che arriva in bicicletta restituiscono un cellulare trovato il giorno prima. Fa caldo e non mi sento per niente bene. Un signore senegalese mi offre una bottiglia d’acqua e io mi ripiglio. Nella sede dell’associazione arrivano i bambini e le bambine della comunità senegalese per il corso di arabo. Il marabout saluta e la prostituta catanese se ne torna al lavoro.
– John, mi sistemeresti la manica di questa camicia per favore? Con la Singer ci metti un minuto.
– Amico mio, quella devi solo buttarla. Con quella camicia a quadri celestina, non ti vergogni?