Ho trascorso le ultime cinque settimane in Sud Sudan. La nazione più giovane del mondo ma anche quella con alcuni dei peggiori indici di salute.
Non è stata la mia prima volta in Sud Sudan: ho lavorato a Gogrial nel 2013 all’interno di un ospedale realizzato in una tenda gonfiabile. Questa volta ho lavorato nel campo sfollati di Bentiu, un ex campo di protezione dei civili (PoC) istituito nel 2014 dopo l’esplosione di violenza che ha costretto
migliaia di persone a fuggire nella vicina base UN MISS (missione delle Nazioni Unite in Sud Sudan).
Durante le mie prime due settimane di missione ho dovuto operare vittime di violenza – soprattutto ferite da arma da fuoco – quasi ogni notte. La maggior parte delle lesioni riguardava gli arti ma c’erano anche gravi traumi addominali e toracici. Mantenere in vita questi pazienti è sempre una sfida, che richiede enormi sforzi da parte di tutto il team e tempi infiniti in sala operatoria.
E anche se l’operazione riesce, purtroppo i pazienti non sempre sopravvivono a causa della mancanza di strutture di terapia intensiva post-operatoria.
La malaria e altre malattie
Nelle ultime settimane abbiamo assistito anche a un preoccupante aumento delle malattie trasmesse dall’acqua, insieme a un numero crescente di casi di malaria.
Sono soprattutto i bambini ad essere colpiti in modo grave e non sempre è possibile migliorare le loro condizioni di salute. Non dimenticherò mai quando alcune volte, passeggiando all’interno del campo, ho visto un’infermiera o un medico piangere in disparte perché avevano perso un altro dei loro piccoli pazienti nelle corsie del nostro ospedale.
Mentre scrivo, le nostre équipe stanno vedendo aumentare i casi di diarrea acuta e un forte aumento dei casi di Epatite E, un virus crudele che colpisce in particolare le donne in gravidanza o durante l’allattamento.
Abbiamo già perso diversi pazienti a Bentiu, morti assolutamente inutili perché il virus prolifera in contesti con scarsa disponibilità di acqua e servizi igienico-sanitari.
Nonostante i continui appelli, le agenzie delle Nazioni Unite e i donatori hanno notevolmente ridotto i servizi e le condizioni del campo sono decisamente peggiorate, provocando questa tragedia. È necessaria un’azione immediata e urgente per cambiare la situazione.
L’assistenza alle donne in gravidanza
Ho visto anche pazienti che hanno dovuto camminare per giorni per raggiungere le nostre strutture. Una notte la nostra ostetrica mi ha svegliato perché era arrivata una donna incinta con una forte emorragia. Abbiamo effettuato un taglio cesareo e le abbiamo salvato la vita ma purtroppo per il
bambino non c’era più nulla da fare.
L’assistenza materno infantile nel Paese dipende principalmente dalle organizzazioni umanitarie e nelle aree remote gli operatori sanitari internazionali sono di solito gli unici a garantire assistenza sanitaria specializzata alla popolazione. Il trasferimento d’urgenza di pazienti in gravi condizioni che necessitano di un intervento chirurgico rimane un’enorme sfida per gli operatori sanitari. che devono fare i conti con costi elevati e sfide logistiche enormi data la mancanza di infrastrutture adeguate.
Il morso di serpente
Ho dovuto operare bambini che erano stati morsi da un serpente. Ricordo quanto complessi fossero questi casi nel 2013, perché molte vittime dovevano subire amputazioni.
Ma ora abbiamo sieri antiveleno necessari per contrastare gli effetti del morso di serpente che permettono a molti pazienti di tornare a casa rapidamente. Quelli che non riuscivano a raggiungerci in fretta dopo essere stati morsi, però, dovevano affrontare dolorose operazioni a causa dell’assenza di strutture sanitarie vicine ai villaggi che fornissero loro un primo soccorso.
Molte strutture sanitarie, inclusi gli ospedali, sono state distrutte o gravemente danneggiate dopo anni di conflitto. Delle circa 2.300 strutture sanitarie presenti nel Paese, oltre la metà non è funzionante. Nelle strutture
sanitarie primarie spesso si riscontra la mancanza di forniture mediche, medicinali e personale sanitario.
La violenza sessuale
Durante la mia permanenza mi sono confrontato con la violenza sessuale e di genere che continua a rappresentare un grave problema per il Sud Sudan.
Chi sopravvive alla violenza sessuale spesso non cerca assistenza sanitaria per timore dello stigma sociale ed è fondamentale un coinvolgimento della comunità per sensibilizzare sulle possibili conseguenze mediche. È un passo
difficile raccontare la propria esperienza e chiedere assistenza.
Cambia il tuo modo di provare sentimenti. Tifa odiare te stessa. Senti che non sarai mai una brava persona per il resto della tua vita» ha detto una rifugiata del Sud Sudan.
La sua testimonianza è raccolta nel nostro ultimo report che analizza i dieci anni di indipendenza del Sud Sudan.
Da quando il campo è stato convertito in un campo per sfollati interni nel marzo 2021, le persone vengono incoraggiate a lasciarlo per tornare nelle zone da cui sono fuggite.
Dovremmo chiederci perché tanti di loro preferiscono continuare a vivere in condizioni così poco dignitose a Bentiu, con forniture di acqua e servizi igienici decisamente inadeguati, dietro recinzioni di filo spinato.
C’è ancora molto lavoro da fare
Ho fatto questa domanda ai leader della comunità che ho incontrato prima di ripartire.
Sono tre le cose di cui abbiamo bisogno e per le quali potremmo tornare indietro e ricominciare le nostre vite da capo: pace, educazione e salute. E nessuna di queste esiste là fuori”.
Sono tornato a Juba con queste parole impresse nella mia mente. Ho portato con me anche tutti gli incontri e le esperienze vissute, per spiegare la vita difficile e ingiusta che affrontano le persone del Sud Sudan alle autorità che avrei incontrato nella capitale.
Le stesse situazioni le ho ascoltate dai colleghi, la maggior parte dei quali sono sud sudanesi, anche in altri progetti di MSF: ad Aburoc, Agok nel distretto di Abyei, Aweil, Boma, Fangak, Kediba, Lankien, Leer, Maban, Malakal, Mayom, Mundri, Pibor, Pieri, Ulang, Yambio, Yei, e Yida.
In questo decimo anniversario dall’indipendenza del Paese, vedo poco da celebrare ma molto su cui riflettere. Mentre il governo non investe nella sanità e i fondi per gli aiuti vengono tagliati, le condizioni a Bentiu peggiorano, la violenza continua e le persone devono affrontare lunghi viaggi per ricevere assistenza. C’è ancora molto lavoro da fare.