Maurizio Debanne

Maurizio Debanne

Comunicazione MSF
Vite

“Puoi scegliere il training, mai il soccorso”. È la prima frase, pronunciata da un soccorritore durante un’esercitazione, che ho scolpito nella mente.

In missione sulla Geo Barents, la nave di Medici Senza Frontiere, avrei dovuto prepararmi al meglio, sapendo, ma soprattutto accettando, di potermi aspettare di tutto. I primi giorni abbiamo simulato soccorsi con persone in acqua senza salvagente, donne in stato avanzato di gravidanza in ipotermia e bambini incoscienti da rianimare.  

La notte del soccorso non c’erano né bambini, né donne. Solo uomini, molti scalzi. Tutti con i vestiti fradici, dai pantaloni alle giacche. Erano in mare da 24 ore. Partiti dalla Libia, viaggiavano su un peschereccio letteralmente alla deriva. C’erano decine di persone anche sul tetto. La barca oscillava. Bastava una manovra sbagliata. Bastava non esserci.  

Peschereccio alla deriva nel Mediterrraneo

Il giorno successivo al soccorso, ciò che colpisce è la lunga fila ordinata per le visite mediche. Per mesi e anni nessuno si è preso cura di loro. Vedere un dottore è una rinascita. Qualcuno che ti ascolta, che ti mette le mani addosso, per curarti.  

Entri nelle loro vite in diversi modi. Parlandoci, innanzitutto. Ahmed*, poco più di 30 anni, viene da Homs, in Siria. Per anni ha lavorato in Africa. Lo conosco una notte, sul ponte della Geo Barents. Si avvicina lui, cercando il mio sguardo. Ricambio con un sorriso. È evidente che vuole parlare. In francese mi racconta la sua storia.

Al capitolo Libia le parole si rarefanno improvvisamente: mi mostra una ferita sul braccio. Una pausa. E riprende così: “Sono stato intercettato due volte in mare dalla Guardia costiera libica. Ora sono felice, merci”. Gli dico di riposare, è l’una di notte. Si allontana, verso poppa. Dieci minuti e me lo ritrovo davanti. Questa volta il suo sguardo è preoccupato. “Lumière, lumière, s’il te plaît vien à voir la lumière”. Penso subito mi voglia chiedere di spegnere le poche luci che di notte lasciamo accese sul ponte. Mi porta fino in fondo, dove c’è una parte scoperta.

Mi affaccio con lui, insieme a un piccolo gruppo di persone, e vedo una luce in mezzo al mare. Lampeggia. “Sono i libici? Siamo per caso in pericolo?” mi chiede Ahmed. Gli dico di stare tranquillo, nessuno lo riporterà indietro. Ma insiste. Mi chiede di dargli la mia parola. Gli metto una mano sulla spalla e gli dico senza esitazioni: “Tu es dans un lieu sûr, demain on sera à Bari”.  

Entri nelle loro vite anche con il servizio che offriamo per ricaricare i cellulari. Quando li stacchi dalla presa, si illuminano per qualche secondo e sullo schermo appaiono figli, fratelli, genitori. Tecnicamente screensaver, praticamente vite. Vite che sono entrate nella mia. Buon vento Geo Barents